domenica 16 aprile 2023

Sceneggiatura di "Uccidere"

 








UCCIDERE



(Sceneggiatura)












DISTRETTO DI POLIZIA

INTERNO NOTTE

Il giovane Stuart se ne sta abbandonato su una sedia e parla con voce sommessa, lo sguardo fisso a terra. Il commissario lo ascolta, lo scruta, fatica a restare fermo.



STUART


Ogni santo giorno ognuno di noi uccide “qualcuno”…uccidiamo chi ci cerca fottendocene allegramente, uccidiamo gli amici facendo solo quello che ci pare e piace, uccidiamo la famiglia sbattendoci dietro le porte, uccidiamo la nostra donna con le catene e poi ce ne andiamo al bar a ucciderci gli ideali strappando un bell’assegno, uccidiamo la nostra pelle col bisturi, uccidiamo i sogni col valium, le emozioni col contegno, uccidiamo la libertà obbedendo agli altri, ci uccidiamo da soli…



COMMISSARIO


Ma insomma Stuart! Smetti di dire cazzate! Vuoi rispondere? L’hai uccisa tu Roberta Abbiati? Perché?



STUART


Ah commissario! Vede? Lei sbaglia…non capisce…le cose non sono mai come sembrano…nessuno può uccidere una come Roberta, nemmeno io.


COMMISSARIO


Cosa significa “una come Roberta”? La vuoi smettere di parlare, parlare, e non dire niente di minimamente comprensibile? È da due fottutissime ore che va avanti questo interrogatorio e non hai risposto ad una sola domanda! Ti piace tanto prenderci per il culo? E poi…cazzo! Non ci vuole tanto: per l’ultima volta…o è sì o è no…saprai dire almeno un anoressico “sì” o un “no”? Eh? Lo sai: tutte le prove sono contro di te…è evidente che sei stato tu…vuoi confessare prima di compromettere ancora di più la tua posizione?



STUART


Non le sembra divertente commissa’?



COMMISSARIO


Ma cosa diavolo potrebbe esserlo in questo momento…?!



STUART


-Beh, per esempio lei che è più incazzato di quel fottuto cielo là fuori, e questa stanza…cazzo! Pare un poliziesco che danno alla tv! L'ufficio buio, illuminato solo da quella lampada rotta puntata su di me, lo sbirro nell’angolo alle prese con un’arcaica macchina da scrivere che non si aspetta altro dalla vita che la mia confessione per scriverla e smontare, un altro sbirro sulla porta che mi guarda con disprezzo perché è pulito, lui... Non le pare? E poi lei…non si vede come la brutta copia del tenente Colombo, con quel cappotto unto, lo sguardo chiuso, i capelli stressati? Forse è il fumo che le fa quell’effetto, eh commissa’? Avrà fumato almeno quattro pacchetti in due ore…roba da pazzi!


COMMISSARIO


Eh no! Qui sei tu il pazzo!!Vabbè, vabbè, è meglio se stiamo calmi. Farei bene a dire: “se sto calmo”. Riprendiamo dall’inizio. Mi siedo qui. Dunque Stuart, ecco la tua domanda:tu conosci Matteo Di Giorgio? Come? Adesso non dici più niente? Ti è andata via pure la parlantina idiota? Non fai più il filosofo? E allora leggi. Toh! Leggi!


Un'incerta voce femminile, in

sottofondo, legge:


17 Febbraio, mercoledì


Conosco Matteo da quindici anni ormai e non mi ha mai delusa. È uno di quelli che rimangono costantemente coerenti, per tutta la vita, alla loro incoerenza. È sempre stato così Matteo…dal liceo! È un bambino di trent’anni “troppo” per ogni situazione:troppo affascinante per sposarsi, troppo intelligente per studiare, troppo dolce per non essere ferito quasi ogni giorno, troppo perspicace per trovarsi uno di quegli impieghi da milioni all’anno, fama e tanti amici opportunisti(anche quelli “all’anno”). Matteo è sempre stato troppo per tutto. Anche per me. Pure a scuola era così: lui è troppo certo delle sue qualità e della sua intelligenza che sa di riuscire a fare ogni cosa al mondo…ma forse così è troppo facile. Lui e Vasco, in fondo, l’hanno sempre cercata quella “Vita spericolata”…Oppure Matteo ha solo paura di riuscire e dimostrare a tutti quelli che gli danno addosso che lui è davvero capace di volare in alto, dove loro non sono mai stati e non arriveranno mai e magari non sanno neanche che si può arrivare così in alto! Matteo sì, forse ha paura di ottenere quello che può troppo facilmente avere. Se l’ottenesse, verrebbe risucchiato da quel meccanismo che odia: diventerebbe un adulto, non sarebbe più un bambino e solo i bambini hanno il suo entusiasmo, la sua dolcezza. Soltanto i bambini lottano per ciò che vogliono. Solo i bambini sorridono con l’anima. Se Matteo crescesse avrebbe paura di quel mondo di adulti come, d’altronde, ce l’hanno tutti i bambini. Anch’io ho paura. Ma per me è diverso…io ho paura che Matteo cresca e ogni volta che devo rivederlo sto attenta a leggere i suoi occhi, ad abbracciare il suo sorriso ingenuo uguale a quello che aveva la mattina in classe, uguale a quello che vide sua madre la prima volta che lo strinse a sé quando, per la prima volta, Matteo illuminò il suo pezzetto di universo con la sua luce strana. Non lo vedo spesso. In quindici anni ci saremmo incontrati non più di venti volte: lui è lontano per quel suo cavolo di lavoro che adora, io ho i miei casini…però non mi fido di nessuno come mi fido di lui. Ho la certezza che in qualunque ora del giorno o della notte posso chiamarlo, chiedergli di raggiungermi e vedermelo arrivare dopo un po’, anche se stiamo distanti migliaia di chilometri. Beh, certo, magari arriverebbe in ritardo…anche in questo resta coerente alla sua incoerenza! Ecco:forse dopo due ore, ma se ho bisogno di lui Matteo arriva con la sua camminata strana e quello sguardo un po’ mortificato accompagnato da un incerto sorriso che ti regala sempre quando si aspetta un rimprovero. Me lo immaginavo proprio così al suo arrivo, questa mattina. Avevo bisogno del suo sorriso come il cappuccino ne aveva del caffè. Già. Sapevo che sarebbe arrivato con quell’espressione, la stessa dell’ultima volta che ci eravamo visti, ormai due anni fa: la stessa di sempre. La mia. Stavolta però mi ero fatta furba: non volevo aspettarlo per ore in condizioni…tremende!Incontrare Matteo è sempre incredibile:chi è troppo come lui è anche giusto che si faccia desiderare. L’avevo aspettato per centinaia di interminabili minuti:sotto il sole di ferragosto, la pioggia, la neve…ovunque! Così, stavolta, gli avevo detto che lo avrei aspettato dentro. Nella nostra solita caffetteria. E infatti ero là. Al solito posto, all’angolo, davanti alla vetrata. Dicono che in alcuni casi il tempo condizioni l’umore. Forse stavolta ero io a condizionarlo: il cielo piangeva disperato. Alla mia quarta cioccolata, Matteo è arrivato. È entrato con il suo passo particolare e mi ha cercato con lo sguardo. Mi ha intenerita con la sua faccia “mortificata”, quel suo gesto di arruffarsi i troppi capelli(che fa sempre quando è imbarazzato). E, così, non ha avuto bisogno di chiedermi scusa per il ritardo. Io e lui parliamo per ore con gli occhi negli occhi. In silenzio. E in silenzio stamattina mi ha dato un bacio. Si è tolto il giaccone e ha assaporato piano piano la cioccolata. Con una mano stringeva la tazza e con l’altra stringeva la mia. Ogni tanto si fregava le mani per il freddo, ma uno come Matteo non è mai freddo. La sua mano era calda. Nella mia. Era un po’ assonnato. Però il suo sguardo non era quello di sempre, non era in coma perché la notte, quella prima come tutte le altre, chissà dove diavolo l’aveva passata. Matteo era triste. Magari già sapeva quello che dovevo chiedergli. Forse lo sapeva dalla sera prima, da quando lo avevo chiamato al cellulare, o forse lo sapeva da quel pomeriggio d’agosto di due anni fa quando ero dovuta scappare e avevo dovuto lasciarlo sotto la palma con il broncio. Non mi chiedeva niente. Mi guardava e capiva. Dopo poco ha deciso per me, come sempre e, venendo dietro di me, ha scostato la sedia e mi ha aiutata ad indossare il cappotto. Poi si è messo il suo di giaccone. Matteo ha pagato le mie quattro cioccolate e siamo usciti dalla nostra caffetteria. Nella pioggia.





Dopo un lungo silenzio, con gli

occhi persi nel ricordo e la voce

rotta dall'emozione, il giovane

riprende a parlare.



STUART


-Io Matteo l’ho conosciuto all' Inferno”, no, non quello “vero”, magari...! Commissà, secondo lei quello vero è più marcio e affollato di quel fottuto Night Club? Mah... Non ne so molto di 'sto Matteo Di Giorgio, stava là quasi tutte le notti... Lui mi ha presentato Roberta: non c'è che dire...una gran figa! E in tanti anni di “onesta carriera” nessuno mi ha mai commissionato un lavoro con tanta... “eleganza” e precisione come lei: pareva che avesse studiato tutto da anni e pareva n'angelo ferma ferma su quello sgabello, con quelle gambe lunghe lunghe accavallate. Me la sarei bevuta come 'na Coca Cola e sarebbe stato bello morì soffocato in mezzo a tutti quei capelli. Batteva sul bancone certe unghie che parevano artigli: sapeva bene chi ero e cosa voleva. Voleva me. Io non lo sapevo che voleva lei da me. La voce ubriaca, ma l'alito non puzzava manco un po'. Certo le cose non sono proprio mai come sembrano... Non era così glaciale come il suo completino voleva far credere. Gli occhi spersi chissà dove, le mani bagnate, giocherellava con quel maledetto bracciale, un bracciale pesante che luccicava e ti cecava pure dentro a quel buco buio. Mia sorella ne aveva uno così da piccola; quando giocavamo a nascondino, io la trovavo sempre: pure se lei si nascondeva bene, la luce di quel bracciale non ci riusciva mai.









LOCALE NOTTURNO “IL BARO”

INTERNO NOTTE

Roberta Abbiati siede a un tavolino di fronte a Stuart e tamburella sul plexiglas con le lunghe unghie laccate. Gli parla con voce rauca.




ROBERTA ABBIATI


Ho bisogno di te. Ho bisogno che tu faccia un “lavoretto” per me. Presto. Fra quindici giorni. Ti dico il posto e la persona, ok?

Quanto ?



STUART


Quindicimila



ROBERTA ABBIATI


Bene. Ne avrai una metà stanotte alle tre, sotto la quercia del “Giardino Blu”, dentro la tigre di marmo. L'altra metà te la darà Matteo a lavoro finito.














DISTRETTO DI POLIZIA

INTERNO NOTTE

Stuart continua a raccontare la sua storia al commissario ormai esausto ma comunque fremente.


STUART


Cazzo commissà, quella voce calda calda come 'na torta, era di un assassino. Ah, le cose non sono proprio mai come sembrano...In una vita di merda pure una gatta assassina fa compagnia e c'hai paura se se ne va.


COMMISSARIO


E tu vuoi farmi credere che un assassino della tua razza ubbidisce buono buono e zitto zitto alle parole contorte di una donna vista una volta?



STUART


Io non guardo in faccia nessuno. Mai. Non m'impiccio del perché qualcuno ha “bisogno” di me. Lo faccio e basta. Quello che conta sono i soldi: se ci sono bene. La vita è rischio per tutti. E poi…di che cosa dovrei avere paura? Ne ho viste così tante …

Lo sa chi è Lancillotto commissa’?


COMMISSARIO

Oh mio dio...! Non ci posso credere: questo sta delirando...!




STUART


Ha visto il film in televisione con Richard Gere? Beh, là c’è una scena che mi secca da pazzi, quando Lancillotto dice a re Artù di non avere paura di niente e di nessuno. Allora re Artù gli fa:

“…ma un uomo che non teme niente è un uomo che non ama niente e, quindi, quale gioia può esserci senza l’amore?”

Lancillotto non risponde. Manco io rispondo. Non mi metto qua a raccontarle il polpettone che so' diventato uomo a 6 anni, tossico a 13, assassino a 15...l'ho fatto: cazzi miei e basta.


COMMISSARIO


Insomma Kim piantala! Che cosa hai fatto dopo aver incontrato Roberta Abbiati?!?


STUART


E che potevo fare? Sono andato a prendermi i miei soldi al “Giardino Blu”:erano tutti là, bravi bravi. Sapesse: un posto da brivido. Mi sono messo a pensare se quello zainetto lo aveva nascosto là l’ombra di Roberta: chissà se quell’ “angelo nero” aveva avuto paura... Eh sì commissa', me lo so' pure chiesto chi voleva ammazzare una come Roberta, una che pareva che c'avesse tutto: i soldi, la bellezza... ma le cose non sono mai come sembrano. Pensavo a 'na storia di sesso, d'intrallazzi economici... ma era meglio se mi facevo solo i cazzi miei. Però mi piaceva l'idea di mori' per mano sua...

A una quindicina dall’incontro al Night con Roberta, all'ora stabilita, nel posto stabilito, il mio bersaglio di carne e ossa uguale uguale alla descrizione che mi aveva dato Roberta, girava l’angolo stabilito.

Presi la mira ma quel modo lento di camminare mi pareva d'averlo già visto e quella luce strana, che veniva dritta dritta dal braccio del mio bersaglio, mi bucava l'occhio e non mi faceva mettere a fuoco. Cominciai a correre come un pazzo, stordito, furioso: l'adrenalina a mille! Gli strizzai un braccio tanto da spezzarglielo. Mi si buttò ai piedi e mi si legò a una gamba: urlava e piangeva.



PENSIONE “L’INCUBO”

INTERNO SERA


Roberta Abbiati e Stuart si trovano nella stanza di una pensione,“L’incubo”. Vista:tangenziale.

La voce fuori campo di Stuart

ricorda...




STUART


La pensione “L’incubo” è una bettola con tante stanze a poco prezzo. Vista:tangenziale. Appena fuori città. Là ne succedono di cose “strane”! I proprietari sono tipi seri perché…si fanno i cazzi loro: Gogò se ne sta sempre sulla sedia della portineria a dormire e, se arrivano gli sbirri, lui appena li vede dice che non ha sentito niente perché dormiva. E forse non ha sentito davvero: a forza di farlo, il sordo, ci è diventato. Ha una vecchia cameriera che dovrebbe pulire quei tre piani cadenti ma, a quanto pare, alla vecchia piace di più farsi le sue sigarette che fare le pulizie. Così, se la notte succede qualcosa, nessuno sa niente. Non ci sono occhi in giro tranne quelli dei topi che, se potessero parlare, ne avrebbero da raccontare...! “L’incubo” puzza di muffa e il perché può stare aperto lo sanno in pochi, ma fa comodo a molti: ad esempio fa comodo a me...

La stanza dove stavamo era tremenda: mobili tarlati, moquette sporca, lenzuola sgualcite…da vomito. Entrò senza dire una parola: manco un solo movimento della faccia. Dal balconcino la vista era tutta un’ erbaccia sterile; quando mi venne vicino mi sembrò che “L’incubo” stava dentro a una grande vallata, con un casino di alberi . Poi se ne tornò dentro e quello che restavo a guardare erano sterpaglie e un cielo sul punto di bestemmiare.

Stava immobile davanti allo specchio: voleva piangere ma non ci riusciva.


STANZA DELL’ “INCUBO”

INTERNO SERA

Roberta ha un'espressione assente, Stuart è disgustato dal posto. Roberta si siede sul letto. Stuart apre la finestra. I vetri sono rotti. Stuart si affaccia sul balconcino: il panorama è tutto un’ erbaccia sterile, ma quando Roberta gli si avvicina il suo volto rivela un' inaspettato eccitamento. Poi però Roberta rientra e Stuart torna ad avere la sua aria cruda e glaciale. Roberta se ne sta immobile davanti allo specchio.


ROBERTA ABBIATI


Sai cosa vedo? Niente. Io sono…niente. Non la sopporto più la mia nullità. Me ne sto sempre con me che sono niente. Quindi parlo con il niente, mangio con il niente, me ne sto nella mia stanza con il niente, cammino per strada con il niente: con me e basta. Sempre. A volte riuscivo a piangere per ore. Ormai non ha nemmeno più senso farlo se nessuno può ascoltarti, se nessuno vuole aiutarti. Ci sono io e basta nella mia vita e nelle mie lacrime e non lo sopporto. Non lo reggo più quel dolore lancinante , così forte, che mi avvinghia quando piango e lo sento salire dallo stomaco…è insopportabile e pesantissimo! Si blocca qui, all’altezza del petto e ci resta. Non può uscire, non riesco a sputarlo: “niente” non può aiutarlo. Invidio quelli che piangono quasi a comando, fermi, poche lacrime, nessuna espressione: pare che quelle lacrime siano più dolci. Li invidio perché mi pare che le loro lacrime non gridano di disperazione come le mie. O forse li capisco perché pure loro, come me, ne hanno talmente tanto di dolore che non riescono nemmeno più a buttarlo fuori. A sentirlo. Sentire dolore è una fortuna: senti in un momento la felicità e capisci che sei felice perché non puoi esserlo sempre. Io sento il dolore in ogni momento e capisco solo che posso esserlo di più, ma che non posso essere felice.

Vorrei sfogarmi, gridare, spaccare tutto, vorrei spiegare, muovermi, andare, fare, però…non posso farlo. Non ce la faccio. Non avrebbe senso. Resto immobile, controllo la rabbia ma più cresce e mi divora: divento “lei” .





DISTRETTO DI POLIZIA

INTERNO NOTTE

Stuart continua a raccontare, fermo, tranquillo, lo sguardo sempre fisso a terra, perso nei suoi ricordi. Il commissario gli cammina nervosamente intorno.






STUART


Quella notte la passai ad ascoltare il suo respiro, quando diventava più forte. Mi pareva sempre troppo leggero e, non sapendo se dormiva oppure no, non potevo premere il grilletto. Questa era la mia scusa.

Ore, minuti, secondi senza fine, su quello schifo di letto, in quello schifo di posto.

Vicino a me, un angelo si era addormentato, tranquillo, la sera prima, per non svegliarsi più la mattina dopo. Lo aveva fatto con calma...davvero? Che aveva pensato prima di addormentarsi? E…stava veramente dormendo? Il sonno, quello definitivo, era davvero l'unica cosa da fare? Si voltava di qua e di là insieme a tutti quei riccioli: qualcuno copriva la faccia, qualcun’ altro le spalle, un altro ancora la bocca.

Pensai a Lancillotto, che non c'ha paura di niente fino a che non incontra la sua donna, quella persona che ha paura di perdere e…Ho avuto sempre le palle per fare qualsiasi cosa, anche la porcheria più sporca …ma da allora commissa’…da quella notte, io non ce l'avevo più il coraggio di uccidere: ne ho ammazzate così tante di persone, uomini, donne, vecchi, ragazzi, pure donne bellissime... ma non me ne fregava un cazzo! Quello era il mio lavoro. Però…adesso...era diverso: Cristo! Non ci riuscivo! Non ce la facevo a ammazzare quegli occhi che c'avevano dentro quella luce spezzata e c'avevo un odio furioso per 'sto mondo di merda che aveva spento quella luce!





STANZA DELLA PENSIONE

L'INCUBO”.

INTERNO GIORNO.


ROBERTA


Anche se hai gli occhi azzurri e i capelli biondi, non credo proprio che tu sia un angelo e che questa stanza sia una specie di... “aldilà”, vero? Beh, altrimenti sarebbe una fregatura : non siamo in un posto molto diverso da quella pensione dove tu…non mi hai ancora fatto fuori.

Bene. Poco male. Dovevo fare ancora una cosa. Voglio bruciare mio padre. Mi passi quell’agenda per favore?


STUART


Che vuoi bruciare?


ROBERTA


Voglio bruciare mio padre.


STUART


Ma che cazzo significa?


ROBERTA


Beh, vedi, è un po’ come se mio padre fosse quest’agenda. È l’unico regalo che mi ha fatto. Molto tempo fa. E anche questo regalo, come ogni momento o parola che mi ha dedicato, nascondeva una sorta di… “debito”. Io certo le ho deluse tutte le sue aspettative…


Stuart porge a Roberta dei

fiammiferi. Lei si siede per

terra e strappa una pagina

dell'agenda,

17 Febbraio, mercoledì.

Poi dà lentamente fuoco

a tutte le altre pagine.


ROBERTA


Mio padre mi regalò quest’agenda il primo giorno di università “...perché” disse lui “tu possa realizzare studi brillanti e prestigiosi”, proprio “quasi” come aveva fatto la mia brillante sorella nella sua prestigiosa università. Non lo saprà mai nessuno quanto ho lottato e pianto per poterlo fare …Non ci riuscivo. Toppavo esame su esame, persi sempre di più il poco coraggio che avevo e la paura riuscì solo a farmi correre in fretta, veloce, il più lontano possibile da quella stramaledetta università. E i miei credevano che me ne fregassi...di tutto.

Da sempre, per tutti, sono un “errore” e gli errori, si sa, si pagano prima o poi. Non credo che la mia famiglia mi abbia mai dato stima: ah, mia madre e mio padre, con il loro studio profumato, gli innumerevoli clienti, le amicizie esclusive...! Certo io non ne ho mai avuta di stima per me. Ero sempre “meno di…”: mi mancava sempre “qualcosa”. Colpa mia.


Roberta continua a parlare

mentre l'agenda è in fiamme,

davanti a lei.

Il suo sguardo è congelato:

fissa un punto lontano anni

luce.


ROBERTA


Si tratta di percentuali: se tutto il resto del mondo ti sembra sbagliato, vuol dire che tu lo sei. E quando hai troppa paura di affrontare le cose, prima o poi quella ti taglia le gambe e manda in pezzi ogni giorno che vivi o credi di vivere perché lo butti giù amaramente con un sorso di whisky. Hai paura di soffrire e così non ti lasci coinvolgere troppo perché di schiaffi ne hai già presi e non ti va di prenderne altri. A quel punto, a forza di scegliere amici che per il tuo compleanno ti regalino pugnalate , te ne stai con il tuo non-coinvolgimento, con i tuoi non-sentimenti. E quando ti accorgi che comunque non funziona, allora ti lasci andare agli altri, a quelli che trovi, a quelli sbagliati, alla vita, a quella sbagliata che, in quel preciso istante, ti uccide di nuovo, Uccide quel nuovo te stesso che avevi rincollato a fatica. Come lottano rabbia e amore qui dentro...! A che serve, tanto, lottare? In questo mondo più fai schifo e più piaci . Io di lacrime non ne ho più perché ho pianto sempre due volte: per me e per gli altri.
















DISTRETTO DI POLIZIA

INTERNO NOTTE

Stuart conclude il suo racconto, è sempre bloccato nella stessa posizione iniziale, con le gambe abbandonate, incrociate e gli occhi bloccati sul pavimento. Il commissario siede finalmente alla sua scrivania, sudato, stanco, silenzioso, immobile, assorto.





STUART


Sa commissa'? Io volevo dire qualcosa, davvero, tante volte...ma non ci riuscivo mai. Volevo dire che senza gli “zeri” come noi come fanno, “loro”,quelli “invincibili”, a essere milioni? Avrei voluto dire a quell’angelo che a volte gli stronzi che vogliono volare con una come lei, si dimenticano che le sue ali non possono bastare per entrambi. Avrei voluto dirle che spesso la gente ci usa, però non vogliamo vederla la verità, ci illudiamo che vogliano bene un po’ pure a noi, perché a se stessi è sicuro che gliene vogliono un casino! Avrei voluto gridarle che sì, forse ne aveva prese tante di sberle dalla vita ma…cazzo! Non ci si deve lasciare uccidere dagli altri, in silenzio.

Avevo sempre pensato che nascondeva un altro po’ di voglia di rivincita...poi gliel'ho letto negli occhi che di forza non ce n'aveva più e non riusciva manco più a vedere che c’era chi l’amava, che c’era Matteo, che c’ero io. Non vedeva più niente perché c'era rimasto soltanto il dolore davanti a lei. Ah...perché le cose non sono mai come sembrano?

Ma lei lo sa, commissario, quanta cazzo di gente ho visto in faccia mentre mi pregava di non ucciderla? Roberta mi chiese tutto il contrario! Ma come si fa a vestirsi di tutto punto per andare a un appuntamento con un assassino che ti sei pagata tu…?

Ogni giorno ognuno di noi uccide... “qualcuno”.

L’ho uccisa io Roberta Abbiati perché ho premuto il grilletto del mio amore, o l’hanno uccisa tutti quelli che l’hanno soffocata, illusa, che l’hanno usata perché gli faceva comodo, che non l'hanno amata, che non l'hanno ascoltata perché non avevano tempo, né capita perché era… “complicata”?

Mio padre ha sempre detto che i filosofi non sanno e non capiscono un “emerito cazzo” e che la filosofia non serve a niente.

Io ricordo le parole di Marcel: “Amare vuol dire:tu non morrai.”-