UCCIDERE
(Sceneggiatura)
DISTRETTO
DI POLIZIA
INTERNO
NOTTE
Il
giovane Stuart se ne sta abbandonato su una sedia e parla con voce
sommessa, lo sguardo fisso a terra. Il commissario lo ascolta, lo
scruta, fatica a restare fermo.
STUART
Ogni santo giorno ognuno di noi
uccide “qualcuno”…uccidiamo chi ci cerca fottendocene
allegramente, uccidiamo gli amici facendo solo quello che ci pare e
piace, uccidiamo la famiglia sbattendoci dietro le porte, uccidiamo
la nostra donna con le catene e poi ce ne andiamo al bar a ucciderci
gli ideali strappando un bell’assegno, uccidiamo la nostra pelle
col bisturi, uccidiamo i sogni col valium, le emozioni col contegno,
uccidiamo la libertà obbedendo agli altri, ci uccidiamo da soli…
COMMISSARIO
Ma
insomma Stuart! Smetti di dire cazzate! Vuoi rispondere? L’hai
uccisa tu Roberta Abbiati? Perché?
STUART
Ah
commissario! Vede? Lei sbaglia…non capisce…le cose non sono mai
come sembrano…nessuno può uccidere una come Roberta, nemmeno io.
COMMISSARIO
Cosa
significa “una come Roberta”? La vuoi smettere di parlare,
parlare, e non dire niente di minimamente comprensibile? È da due
fottutissime ore che va avanti questo interrogatorio e non hai
risposto ad una sola domanda! Ti piace tanto prenderci per il culo? E
poi…cazzo! Non ci vuole tanto: per l’ultima volta…o è sì o è
no…saprai dire almeno un anoressico “sì” o un “no”? Eh? Lo
sai: tutte le prove sono contro di te…è evidente che sei stato
tu…vuoi confessare prima di compromettere ancora di più la tua
posizione?
STUART
Non
le sembra divertente commissa’?
COMMISSARIO
Ma
cosa diavolo potrebbe esserlo in questo momento…?!
STUART
-Beh, per
esempio lei che è più incazzato di quel fottuto cielo là fuori, e
questa stanza…cazzo! Pare un poliziesco che danno alla tv!
L'ufficio buio, illuminato solo da quella lampada rotta puntata su di
me, lo sbirro nell’angolo alle prese con un’arcaica macchina da
scrivere che non si aspetta altro dalla vita che la mia confessione
per scriverla e smontare, un altro sbirro sulla
porta
che mi guarda con disprezzo perché è pulito, lui... Non le pare? E
poi lei…non si vede come la brutta copia del tenente Colombo, con
quel cappotto unto, lo sguardo chiuso, i capelli stressati? Forse è
il fumo che le fa quell’effetto, eh commissa’? Avrà fumato
almeno quattro pacchetti in due ore…roba da pazzi!
COMMISSARIO
Eh
no! Qui sei tu il pazzo!!Vabbè, vabbè, è meglio se stiamo calmi.
Farei bene a dire: “se sto calmo”. Riprendiamo dall’inizio. Mi
siedo qui. Dunque Stuart, ecco la tua domanda:tu conosci Matteo Di
Giorgio? Come? Adesso non dici più niente? Ti è andata via pure la
parlantina idiota? Non fai più il filosofo? E allora leggi. Toh!
Leggi!
Un'incerta
voce femminile, in
sottofondo,
legge:
17 Febbraio, mercoledì
Conosco Matteo da quindici anni
ormai e non mi ha mai delusa. È uno di quelli che rimangono
costantemente coerenti, per tutta la vita, alla loro incoerenza. È
sempre stato così Matteo…dal liceo! È un bambino di trent’anni
“troppo” per ogni situazione:troppo affascinante per sposarsi,
troppo intelligente per studiare, troppo dolce per non essere ferito
quasi ogni giorno, troppo perspicace per trovarsi uno di quegli
impieghi da milioni all’anno, fama e tanti amici opportunisti(anche
quelli “all’anno”). Matteo è sempre stato troppo per tutto.
Anche per me. Pure a scuola era così: lui è troppo certo delle sue
qualità e della sua intelligenza che sa di riuscire a fare ogni cosa
al mondo…ma forse così è troppo facile. Lui e Vasco, in fondo,
l’hanno sempre cercata quella “Vita spericolata”…Oppure
Matteo ha solo paura di riuscire e dimostrare a tutti quelli che gli
danno addosso che lui è davvero capace di volare in alto, dove loro
non sono mai stati e non arriveranno mai e magari non sanno neanche
che si può arrivare così in alto! Matteo sì, forse ha paura di
ottenere quello che può troppo facilmente avere. Se l’ottenesse,
verrebbe risucchiato da quel meccanismo che odia: diventerebbe un
adulto, non sarebbe più un bambino e solo i bambini hanno il suo
entusiasmo, la sua dolcezza. Soltanto i bambini lottano per ciò che
vogliono. Solo i bambini sorridono con l’anima. Se Matteo crescesse
avrebbe paura di quel mondo di adulti come, d’altronde, ce l’hanno
tutti i bambini. Anch’io ho paura. Ma per me è diverso…io ho
paura che Matteo cresca e ogni volta che devo rivederlo sto attenta a
leggere i suoi occhi, ad abbracciare il suo sorriso ingenuo uguale a
quello che aveva la mattina in classe, uguale a quello che vide sua
madre la prima volta che lo strinse a sé quando, per la prima volta,
Matteo illuminò il suo pezzetto di universo con la sua luce strana.
Non lo vedo spesso. In quindici anni ci saremmo incontrati non più
di venti volte: lui è lontano per quel suo cavolo di lavoro che
adora, io ho i miei casini…però non mi fido di nessuno come mi
fido di lui. Ho la certezza che in qualunque ora del giorno o della
notte posso chiamarlo, chiedergli di raggiungermi e vedermelo
arrivare dopo un po’, anche se stiamo distanti migliaia di
chilometri. Beh, certo, magari arriverebbe in ritardo…anche in
questo resta coerente alla sua incoerenza! Ecco:forse dopo due ore,
ma se ho bisogno di lui Matteo arriva con la sua camminata strana e
quello sguardo un po’ mortificato accompagnato da un incerto
sorriso che ti regala sempre quando si aspetta un rimprovero. Me lo
immaginavo proprio così al suo arrivo, questa mattina. Avevo bisogno
del suo sorriso come il cappuccino ne aveva del caffè. Già. Sapevo
che sarebbe arrivato con quell’espressione, la stessa dell’ultima
volta che ci eravamo visti, ormai due anni fa: la stessa di sempre.
La mia. Stavolta però mi ero fatta furba: non volevo aspettarlo per
ore in condizioni…tremende!Incontrare Matteo è sempre
incredibile:chi è troppo come lui è anche giusto che si faccia
desiderare. L’avevo aspettato per centinaia di interminabili
minuti:sotto il sole di ferragosto, la pioggia, la neve…ovunque!
Così, stavolta, gli avevo detto che lo avrei aspettato dentro. Nella
nostra solita caffetteria. E infatti ero là. Al solito posto,
all’angolo, davanti alla vetrata. Dicono che in alcuni casi il
tempo condizioni l’umore. Forse stavolta ero io a condizionarlo: il
cielo piangeva disperato. Alla mia quarta cioccolata, Matteo è
arrivato. È entrato con il suo passo particolare e mi ha cercato con
lo sguardo. Mi ha intenerita con la sua faccia “mortificata”,
quel suo gesto di arruffarsi i troppi capelli(che fa sempre quando è
imbarazzato). E, così, non ha avuto bisogno di chiedermi scusa per
il ritardo. Io e lui parliamo per ore con gli occhi negli occhi. In
silenzio. E in silenzio stamattina mi ha dato un bacio. Si è tolto
il giaccone e ha assaporato piano piano la cioccolata. Con una mano
stringeva la tazza e con l’altra stringeva la mia. Ogni tanto si
fregava le mani per il freddo, ma uno come Matteo non è mai freddo.
La sua mano era calda. Nella mia. Era un po’ assonnato. Però il
suo sguardo non era quello di sempre, non era in coma perché la
notte, quella prima come tutte le altre, chissà dove diavolo l’aveva
passata. Matteo era triste. Magari già sapeva quello che dovevo
chiedergli. Forse lo sapeva dalla sera prima, da quando lo avevo
chiamato al cellulare, o forse lo sapeva da quel pomeriggio d’agosto
di due anni fa quando ero dovuta scappare e avevo dovuto lasciarlo
sotto la palma con il broncio. Non mi chiedeva niente. Mi guardava e
capiva. Dopo poco ha deciso per me, come sempre e, venendo dietro di
me, ha scostato la sedia e mi ha aiutata ad indossare il cappotto.
Poi si è messo il suo di giaccone. Matteo ha pagato le mie quattro
cioccolate e siamo usciti dalla nostra caffetteria. Nella pioggia.
Dopo
un lungo silenzio, con gli
occhi
persi nel ricordo e la voce
rotta
dall'emozione, il giovane
riprende
a parlare.
STUART
-Io Matteo l’ho
conosciuto all' “Inferno”,
no, non quello “vero”, magari...! Commissà, secondo lei quello
vero è più marcio e affollato di quel fottuto Night Club? Mah...
Non ne so molto di 'sto Matteo Di Giorgio, stava là quasi tutte le
notti... Lui mi ha presentato Roberta: non c'è che dire...una gran
figa! E in tanti anni di “onesta carriera” nessuno mi ha mai
commissionato un lavoro con tanta... “eleganza” e precisione come
lei: pareva che avesse studiato tutto da anni e pareva n'angelo ferma
ferma su quello sgabello, con quelle gambe lunghe lunghe accavallate.
Me la sarei bevuta come 'na Coca Cola e sarebbe stato bello morì
soffocato in mezzo a tutti quei capelli. Batteva sul bancone certe
unghie che parevano artigli: sapeva bene chi ero e cosa voleva.
Voleva me. Io non lo sapevo che voleva lei da me. La voce ubriaca, ma
l'alito non puzzava manco un po'. Certo le cose non sono proprio mai
come sembrano... Non era così glaciale come il suo completino voleva
far credere. Gli occhi spersi chissà dove, le mani bagnate,
giocherellava con quel maledetto bracciale, un bracciale pesante che
luccicava e ti cecava pure dentro a quel buco buio. Mia sorella ne
aveva uno così da piccola; quando giocavamo a nascondino, io la
trovavo sempre: pure se lei si nascondeva bene, la luce di quel
bracciale non ci riusciva mai.
LOCALE
NOTTURNO “IL BARO”
INTERNO
NOTTE
Roberta
Abbiati siede a un tavolino di fronte a Stuart e tamburella sul
plexiglas con le lunghe unghie laccate. Gli parla con voce rauca.
ROBERTA
ABBIATI
Ho bisogno di te. Ho bisogno che
tu faccia un “lavoretto” per me. Presto. Fra quindici giorni. Ti
dico il posto e la persona, ok?
Quanto ?
STUART
Quindicimila
ROBERTA
ABBIATI
Bene. Ne avrai una metà stanotte
alle tre, sotto la quercia del “Giardino Blu”, dentro la tigre di
marmo. L'altra metà te la darà Matteo a lavoro finito.
DISTRETTO
DI POLIZIA
INTERNO
NOTTE
Stuart
continua a raccontare la sua storia al commissario ormai esausto ma
comunque fremente.
STUART
Cazzo
commissà, quella voce calda calda come 'na torta, era di un
assassino. Ah, le cose non sono proprio mai come sembrano...In una
vita di merda pure una gatta assassina fa compagnia e c'hai paura se
se ne va.
COMMISSARIO
E tu vuoi farmi credere che un
assassino della tua razza ubbidisce buono buono e zitto zitto alle
parole contorte di una donna vista una volta?
STUART
Io non guardo in faccia nessuno.
Mai. Non m'impiccio del perché qualcuno ha “bisogno” di me. Lo
faccio e basta. Quello che conta sono i soldi: se ci sono bene. La
vita è rischio per tutti. E poi…di che cosa dovrei avere paura? Ne
ho viste così tante …
Lo sa chi è Lancillotto
commissa’?
COMMISSARIO
Oh mio dio...! Non ci posso
credere: questo sta delirando...!
STUART
Ha visto il film in televisione
con Richard Gere? Beh, là c’è una scena che mi secca da pazzi,
quando Lancillotto dice a re Artù di non avere paura di niente e di
nessuno. Allora re Artù gli fa:
“…ma un
uomo che non teme niente è un uomo che non ama niente e, quindi,
quale gioia può esserci senza l’amore?”
Lancillotto non risponde. Manco io
rispondo. Non mi metto qua a raccontarle il polpettone che so'
diventato uomo a 6 anni, tossico a 13, assassino a 15...l'ho fatto:
cazzi miei e basta.
COMMISSARIO
Insomma Kim piantala! Che cosa hai
fatto dopo aver incontrato Roberta Abbiati?!?
STUART
E che potevo fare? Sono andato a
prendermi i miei soldi al “Giardino Blu”:erano tutti là, bravi
bravi. Sapesse: un posto da brivido. Mi sono messo a pensare se
quello zainetto lo aveva nascosto là l’ombra di Roberta: chissà
se quell’ “angelo nero” aveva avuto paura... Eh sì commissa',
me lo so' pure chiesto chi voleva ammazzare una come Roberta, una
che pareva che c'avesse tutto: i soldi, la bellezza... ma le cose non
sono mai come sembrano. Pensavo a 'na storia di sesso, d'intrallazzi
economici... ma era meglio se mi facevo solo i cazzi miei. Però mi
piaceva l'idea di mori' per mano sua...
A una
quindicina dall’incontro al Night con Roberta, all'ora stabilita,
nel posto stabilito, il mio bersaglio di carne e ossa uguale
uguale
alla descrizione che mi aveva dato Roberta, girava l’angolo
stabilito.
Presi la mira ma quel modo lento
di camminare mi pareva d'averlo già visto e quella luce strana, che
veniva dritta dritta dal braccio del mio bersaglio, mi bucava
l'occhio e non mi faceva mettere a fuoco. Cominciai a correre come un
pazzo, stordito, furioso: l'adrenalina a mille! Gli strizzai un
braccio tanto da spezzarglielo. Mi si buttò ai piedi e mi si legò a
una gamba: urlava e piangeva.
PENSIONE
“L’INCUBO”
INTERNO
SERA
Roberta
Abbiati e Stuart si trovano nella stanza di una pensione,“L’incubo”.
Vista:tangenziale.
La
voce fuori campo di Stuart
ricorda...
STUART
La pensione “L’incubo” è
una bettola con tante stanze a poco prezzo. Vista:tangenziale. Appena
fuori città. Là ne succedono di cose “strane”! I proprietari
sono tipi seri perché…si fanno i cazzi loro: Gogò se ne sta
sempre sulla sedia della portineria a dormire e, se arrivano gli
sbirri, lui appena li vede dice che non ha sentito niente perché
dormiva. E forse non ha sentito davvero: a forza di farlo, il sordo,
ci è diventato. Ha una vecchia cameriera che dovrebbe pulire quei
tre piani cadenti ma, a quanto pare, alla vecchia piace di più farsi
le sue sigarette che fare le pulizie. Così, se la notte succede
qualcosa, nessuno sa niente. Non ci sono occhi in giro tranne quelli
dei topi che, se potessero parlare, ne avrebbero da raccontare...!
“L’incubo” puzza di muffa e il perché può stare aperto lo
sanno in pochi, ma fa comodo a molti: ad esempio fa comodo a me...
La stanza dove
stavamo era tremenda: mobili tarlati, moquette sporca, lenzuola
sgualcite…da vomito. Entrò senza dire una parola: manco un solo
movimento della faccia. Dal balconcino la vista era tutta un’
erbaccia sterile; quando mi venne vicino mi
sembrò
che “L’incubo” stava dentro a una grande vallata, con un casino
di alberi . Poi se ne tornò dentro e quello che restavo a guardare
erano sterpaglie e un cielo sul punto di bestemmiare.
Stava immobile davanti allo
specchio: voleva piangere ma non ci riusciva.
STANZA
DELL’ “INCUBO”
INTERNO
SERA
Roberta
ha un'espressione assente, Stuart è disgustato dal posto. Roberta si
siede sul letto. Stuart apre la finestra. I vetri sono rotti. Stuart
si affaccia sul balconcino: il panorama è tutto un’ erbaccia
sterile, ma quando Roberta gli si avvicina il suo volto rivela un'
inaspettato eccitamento. Poi però Roberta rientra e Stuart torna ad
avere la sua aria cruda e glaciale. Roberta se ne sta immobile
davanti allo specchio.
ROBERTA
ABBIATI
Sai cosa vedo? Niente. Io
sono…niente. Non la sopporto più la mia nullità. Me ne sto sempre
con me che sono niente. Quindi parlo con il niente, mangio con il
niente, me ne sto nella mia stanza con il niente, cammino per strada
con il niente: con me e basta. Sempre. A volte riuscivo a piangere
per ore. Ormai non ha nemmeno più senso farlo se nessuno può
ascoltarti, se nessuno vuole aiutarti. Ci sono io e basta nella mia
vita e nelle mie lacrime e non lo sopporto. Non lo reggo più quel
dolore lancinante , così forte, che mi avvinghia quando piango e lo
sento salire dallo stomaco…è insopportabile e pesantissimo! Si
blocca qui, all’altezza del petto e ci resta. Non può uscire, non
riesco a sputarlo: “niente” non può aiutarlo. Invidio quelli che
piangono quasi a comando, fermi, poche lacrime, nessuna espressione:
pare che quelle lacrime siano più dolci. Li invidio perché mi pare
che le loro lacrime non gridano di disperazione come le mie. O forse
li capisco perché pure loro, come me, ne hanno talmente tanto di
dolore che non riescono nemmeno più a buttarlo fuori. A sentirlo.
Sentire dolore è una fortuna: senti in un momento la felicità e
capisci che sei felice perché non puoi esserlo sempre. Io sento il
dolore in ogni momento e capisco solo che posso esserlo di più, ma
che non posso essere felice.
Vorrei sfogarmi, gridare, spaccare
tutto, vorrei spiegare, muovermi, andare, fare, però…non posso
farlo. Non ce la faccio. Non avrebbe senso. Resto immobile, controllo
la rabbia ma più cresce e mi divora: divento “lei” .
DISTRETTO
DI POLIZIA
INTERNO
NOTTE
Stuart
continua a raccontare, fermo, tranquillo, lo sguardo sempre fisso a
terra, perso nei suoi ricordi. Il commissario gli cammina
nervosamente intorno.
STUART
Quella notte la passai ad
ascoltare il suo respiro, quando diventava più forte. Mi pareva
sempre troppo leggero e, non sapendo se dormiva oppure no, non potevo
premere il grilletto. Questa era la mia scusa.
Ore, minuti, secondi senza fine,
su quello schifo di letto, in quello schifo di posto.
Vicino a me, un angelo si era
addormentato, tranquillo, la sera prima, per non svegliarsi più la
mattina dopo. Lo aveva fatto con calma...davvero? Che aveva pensato
prima di addormentarsi? E…stava veramente dormendo? Il sonno,
quello definitivo, era davvero l'unica cosa da fare? Si voltava di
qua e di là insieme a tutti quei riccioli: qualcuno copriva la
faccia, qualcun’ altro le spalle, un altro ancora la bocca.
Pensai a Lancillotto, che non c'ha
paura di niente fino a che non incontra la sua donna, quella persona
che ha paura di perdere e…Ho avuto sempre le palle per fare
qualsiasi cosa, anche la porcheria più sporca …ma da allora
commissa’…da quella notte, io non ce l'avevo più il coraggio di
uccidere: ne ho ammazzate così tante di persone, uomini, donne,
vecchi, ragazzi, pure donne bellissime... ma non me ne fregava un
cazzo! Quello era il mio lavoro. Però…adesso...era diverso:
Cristo! Non ci riuscivo! Non ce la facevo a ammazzare quegli occhi
che c'avevano dentro quella luce spezzata e c'avevo un odio furioso
per 'sto mondo di merda che aveva spento quella luce!
STANZA
DELLA PENSIONE
“L'INCUBO”.
INTERNO
GIORNO.
ROBERTA
Anche se hai gli occhi azzurri e i
capelli biondi, non credo proprio che tu sia un angelo e che questa
stanza sia una specie di... “aldilà”, vero? Beh, altrimenti
sarebbe una fregatura : non siamo in un posto molto diverso da quella
pensione dove tu…non mi hai ancora fatto fuori.
Bene. Poco male. Dovevo fare
ancora una cosa. Voglio bruciare mio padre. Mi passi quell’agenda
per favore?
STUART
Che vuoi bruciare?
ROBERTA
Voglio bruciare mio padre.
STUART
Ma che cazzo significa?
ROBERTA
Beh, vedi, è un po’ come se mio
padre fosse quest’agenda. È l’unico regalo che mi ha fatto.
Molto tempo fa. E anche questo regalo, come ogni momento o parola che
mi ha dedicato, nascondeva una sorta di… “debito”. Io certo le
ho deluse tutte le sue aspettative…
Stuart
porge a Roberta dei
fiammiferi.
Lei si siede per
terra
e strappa una pagina
dell'agenda,
17
Febbraio, mercoledì.
Poi dà lentamente fuoco
a tutte le altre pagine.
ROBERTA
Mio padre mi regalò quest’agenda
il primo giorno di università “...perché” disse lui “tu possa
realizzare studi brillanti e prestigiosi”, proprio “quasi” come
aveva fatto la mia brillante sorella nella sua prestigiosa
università. Non lo saprà mai nessuno quanto ho lottato e pianto per
poterlo fare …Non ci riuscivo. Toppavo esame su esame, persi sempre
di più il poco coraggio che avevo e la paura riuscì solo a farmi
correre in fretta, veloce, il più lontano possibile da quella
stramaledetta università. E i miei credevano che me ne fregassi...di
tutto.
Da sempre, per tutti, sono un
“errore” e gli errori, si sa, si pagano prima o poi. Non credo
che la mia famiglia mi abbia mai dato stima: ah, mia madre e mio
padre, con il loro studio profumato, gli innumerevoli clienti, le
amicizie esclusive...! Certo io non ne ho mai avuta di stima per me.
Ero sempre “meno di…”: mi mancava sempre “qualcosa”. Colpa
mia.
Roberta
continua a parlare
mentre
l'agenda è in fiamme,
davanti
a lei.
Il
suo sguardo è congelato:
fissa
un punto lontano anni
luce.
ROBERTA
Si tratta di percentuali: se tutto
il resto del mondo ti sembra sbagliato, vuol dire che tu lo sei. E
quando hai troppa paura di affrontare le cose, prima o poi quella ti
taglia le gambe e manda in pezzi ogni giorno che vivi o credi di
vivere perché lo butti giù amaramente con un sorso di whisky. Hai
paura di soffrire e così non ti lasci coinvolgere troppo perché di
schiaffi ne hai già presi e non ti va di prenderne altri. A quel
punto, a forza di scegliere amici che per il tuo compleanno ti
regalino pugnalate , te ne stai con il tuo non-coinvolgimento, con i
tuoi non-sentimenti. E quando ti accorgi che comunque non funziona,
allora ti lasci andare agli altri, a quelli che trovi, a quelli
sbagliati, alla vita, a quella sbagliata che, in quel preciso
istante, ti uccide di nuovo, Uccide quel nuovo te stesso che avevi
rincollato a fatica. Come lottano rabbia e amore qui dentro...! A che
serve, tanto, lottare? In questo mondo più fai schifo e più piaci .
Io di lacrime non ne ho più perché ho pianto sempre due volte: per
me e per gli altri.
DISTRETTO
DI POLIZIA
INTERNO
NOTTE
Stuart
conclude il suo racconto, è sempre bloccato nella stessa posizione
iniziale, con le gambe abbandonate, incrociate e gli occhi bloccati
sul pavimento. Il commissario siede finalmente alla sua scrivania,
sudato, stanco, silenzioso, immobile, assorto.
STUART
Sa commissa'? Io volevo dire
qualcosa, davvero, tante volte...ma non ci riuscivo mai. Volevo dire
che senza gli “zeri” come noi come fanno, “loro”,quelli
“invincibili”, a essere milioni? Avrei voluto dire a quell’angelo
che a volte gli stronzi che vogliono volare con una come lei, si
dimenticano che le sue ali non possono bastare per entrambi. Avrei
voluto dirle che spesso la gente ci usa, però non vogliamo vederla
la verità, ci illudiamo che vogliano bene un po’ pure a noi,
perché a se stessi è sicuro che gliene vogliono un casino! Avrei
voluto gridarle che sì, forse ne aveva prese tante di sberle dalla
vita ma…cazzo! Non ci si deve lasciare uccidere dagli altri, in
silenzio.
Avevo sempre pensato che
nascondeva un altro po’ di voglia di rivincita...poi gliel'ho letto
negli occhi che di forza non ce n'aveva più e non riusciva manco più
a vedere che c’era chi l’amava, che c’era Matteo, che c’ero
io. Non vedeva più niente perché c'era rimasto soltanto il dolore
davanti a lei. Ah...perché le cose non sono mai come sembrano?
Ma lei lo sa, commissario, quanta
cazzo di gente ho visto in faccia mentre mi pregava di non ucciderla?
Roberta mi chiese tutto il contrario! Ma come si fa a vestirsi di
tutto punto per andare a un appuntamento con un assassino che ti sei
pagata tu…?
Ogni giorno ognuno di noi
uccide... “qualcuno”.
L’ho uccisa io Roberta Abbiati
perché ho premuto il grilletto del mio amore, o l’hanno uccisa
tutti quelli che l’hanno soffocata, illusa, che l’hanno usata
perché gli faceva comodo, che non l'hanno amata, che non l'hanno
ascoltata perché non avevano tempo, né capita perché era…
“complicata”?
Mio padre ha sempre detto che i
filosofi non sanno e non capiscono un “emerito cazzo” e che la
filosofia non serve a niente.
Io ricordo le parole di Marcel:
“Amare vuol dire:tu non morrai.”-