sabato 19 dicembre 2015

La favola...

La Principessa di Cristallo

C'era una volta una fragilissima Principessa che abitava in un regno di cristallo. La sua vita poteva sembrare limpida come una goccia di rugiada al guardarla da lontano, ma da lontano lontano, perché chi abita dove tutto è di cristallo non può piangere che quello e, allora, dal di fuori vedi la luce, ma dal di dentro, se ti scappa di piangere, vedi solo il buio perché i cristalli ti chiudono gli occhi.

Un giorno alla Principessa di cristallo parve di vedere la luce... parve... Da lontano vide le mura della sua città venire audacemente scavalcate da un Soldatino Di Piombo senza un perché. E senza un perché lo vide arrancare lungo il sentiero che conduceva dritto a lei. La Principessa prese a sorridergli timidamente. Il Soldatino le sorrideva sicuro. Ma, si sa, è arduo e faticoso per un Soldatino Di Piombo il cammino in un regno di cristallo! Così, senza un perché, dopo aver infranto il suo sentiero col suo passo di piombo, il Soldatino infranse pure il suo sorriso e voltò le spalle alla Principessa che se ne restò lì con lo sguardo congelato dalle sue stesse lacrime...

La Principessa di Cristallo sapeva di non dover piangere perché le sue lacrime sarebbero state certo anch'esse di cristallo e le avrebbero pertanto serrato gli occhi impedendole di vedere, impedendole di guardare...cosa?
-Non devo piangere- si ripeteva la delicata Principessa, -Non devo piangere o non potrò più vedere...cosa?
La principessa se ne stette lì immobile a pensare tanto tempo, tutto il tempo di cristallo che aveva a disposizione, che cosa avrebbe rimpianto, che cosa sarebbe mancato ai suoi occhi: le solite colline di cristallo? I più che noti palazzi di cristallo? Le strade vacillanti? Le piogge dirompenti o il sole che come la pioggia aveva sempre un effetto distruttivo in quel regno? O forse...le sarebbero mancati i gelidi abitanti del Regno di Cristallo con i loro cuori rigidi e le loro parole pungenti? Le sarebbero mancati...?

Allora la Principessa di Cristallo iniziò a piangere, a piangere, a piangere... Dapprima le sue lacrime di cristallo oscurarono le colline lontane, poi i palazzi, le strade, la terra che aveva sotto i piedi, la ghiaia su cui si sedette con il buio negli occhi e la tristezza nel cuore.

(di Barbara Presicce) (Diritti riservati) 




giovedì 3 dicembre 2015

"La Favola di Dicembre"

“I cioccolati!” di Barbara Presicce

Si scioglie una soffice
lacrima croccante
e fonde
sorrisi scoppiettanti
di nocciole,
di latte,
di vaniglia.
Accendono gli occhi
tutti quei marroni
più dolci, glassati...
tutti quei neri
ricolati, un po' meno zuccherati
e corrono,
arlecchini,
avanti e indietro
nella testa,
si infilano curiosi
nelle calze colorate
dei camini,
si poggiano paciosi
sugli aghi
degli abeti illuminati
dei bambini,
se ne scappano a nascondere
sorprese
dietro il volo delle rondini
che tornano
smaniose,
e anche quando
congelano la lingua
sotto un sole un po' crudele...
sfornano ogni volta
incredibile allegria
spolverata di magia. (diritti riservati)

martedì 17 novembre 2015

Filastrocca per bimbi: "L'inverno"

“L'Inverno”

Con l'Inverno arriva il gelo
che distende il suo bel velo:
svelti svelti i caminetti
si riempion di legnetti;
come zucchero la neve
copre tutto lieve lieve
e al calduccio nei lettini
si addormentano i bambini.





venerdì 30 ottobre 2015

Filastrocca per bambini

“L'Autunno”

Tempo tempo pazzerello:
devo prendere l'ombrello
e poi giù lungo il selciato
da foglie secche intrappolato;
con l'autunno hai il nuovo vino
di castagne un buon cestino
e i marroni dei paesaggi
dell'inverno sono assaggi!


domenica 18 ottobre 2015

Filastrocca di Halloween!

“Halloween”

Su preparati a sapere
quello che dovrai vedere!
Ragni, scheletri, vampiri,
streghe, rettili e tapiri,
tutti pronti a camminare
nella notte più spettrale;
alle porte ogni bimbetto fa:

“Dolcetto o scherzetto?” 

venerdì 9 ottobre 2015

"Oggi"

Oggi

Oggi
è innamorato di
Ieri:
ama il sapore
delle lacrime bianche
solo perché gli ricordano
quelle di Ieri,
si perde nell’arancione
dell’arcobaleno
solo perché gli ricorda
il sorriso di Ieri
e così  non può più vivere
se non nel ricordo di Ieri.
È un amore impossibile
il suo:
Ieri non riesce mai ad incontrare
Oggi,
non potranno mai incontrarsi,
e ogni tanto
Ieri
sente
come una botta allo stomaco,
uno schiaffo muto,
uno strano presagio…
la presenza di una mancanza.




sabato 12 settembre 2015

Settembre

Settembre

Anche adesso ritorni
imbronciato
e strizzi un po’ spesso
le gote lanose
e colpisci a freddo
con carezze veloci e pungenti;
eppure adesso non c’è,
sotto il banco liscio
di legno scheggiato
verniciato
distrattamente
di azzurro,
la pizzetta stretta stretta
nella carta marrone,
non c’è la cartella buttata
per terra che sa ancora
di plastica  
e di emozione
e non ancora di vita scolastica,
del profumo strano
delle gomme nuove,
del sapore caldo
delle pagine
dei libri ancora
croccanti;
le penne profumate
non corrono ansiose
sui quaderni bianchi
che non hanno ancora
scritto niente
di niente
ma tutto deve ancora
cominciare.


venerdì 21 agosto 2015

Quando gli angeli volano all'in giù (racconto breve)

BARBARA PRESICCE



“Quando gli angeli

volano

all' in giù”

(Fiaba moderna)


“Quando sono nato”
Quando sono nato nessuno mi guardava: mia madre piangeva disperata, afferrava con le unghie le lenzuola, si contorceva maledicendo mio padre per quello che le aveva fatto, cioè... “io” ; mio padre andava su e giù per la stanzetta triste di quell'ospedale sporco e un po' guardava per terra, un po' il soffitto giusto quando imprecava; la nonna parlava, parlava, soffocando con il suo fastidioso dialetto le lacrime della mamma, le bestemmie di papà e non capiva che con tutte le sue chiacchiere non avrebbe sistemato un bel niente, avrebbe semplicemente procurato l'ennesima emicrania alle infermiere che se ne stavano sbalordite nel corridoio ad assistere a quello che avrebbe dovuto essere il mio primo dolce, tenero e commovente abbraccio alla  mamma( già... “tenero”! Già... “commovente”... beh, in effetti di lacrime ce n'erano... ma non di gioia);  mio nonno se ne stava zitto zitto con gli occhi fermi sulla spalliera di ferro del letto, i suoi occhi neri erano rossi quel giorno, il giorno in cui sono nato, terrorizzati non so da cosa o, meglio, allora non lo sapevo ma adesso posso dire con certezza che fosse spaventato a morte da me, dalla mia nascita, dai miei primi vagiti però, anche in questo momento, continuo a chiedermi come mai il suo terrore fosse esploso tutto  proprio quel giorno e perché non lo avesse vomitato durante i nove mesi della mia permanenza nella pancia della mamma.
Ah, la pancia della mamma! Ora la ricordo con un fortissimo e dolorosissimo senso di nostalgia... là dentro era tutto sicuro, mi sentivo protetto e devo ammettere che, una volta uscito di lì, nessun posto mi avrebbe dato mai tutta quella pace per ben nove mesi di seguito! Eppure io le vedevo le cose da là dentro, lo capivo quello che succedeva: ascoltavo sempre tanta gente riunita, a tavola magari, che si sorrideva felice, che rideva di gusto, solamente qualche rimprovero per i miei frattellini ma mai voce alta o cattiva, mai discussioni, litigate... In nove mesi era come se tutte quelle bocche felici, serene, covassero il disprezzo, l'inquietudine e la guerra che sarebbe esplosa, come un botto di Capodanno, proprio al momento della mia nascita. Fortunato non lo sono stato, questo è sicuro, ma ho imparato tante cose subito e in poco tempo. Ho imparato, per esempio, che spesso gli adulti ridono quando vogliono piangere ma se piangono raramente avevano intenzione di ridere e ho imparato pure che, fino a quando non si scontrano con gli “ostacoli”, i “pericoli”, gli adulti camminano, parlano, fanno finta di niente eppure lo sanno che l'ostacolo di lì a poco ci sarà, nel mio caso dovrei dire “nascerà”, ma si ostinano in ogni modo a rimandare il problema, a ritardare la discussione tra un sorriso di carta e una parola di gomma. Lì, da dentro la pancia della mamma, la vedevo la gente sorridere, era tutta un' esplosione di risatine, di carezze: mio padre si occupava di mia madre, del suo pancione, con una premura che non avrei mai più conosciuto, tutti le si rivolgevano con delicatezza e lei non poteva che ricambiare quelle affettuosità con un tono languido, carezzevole che, manco a dirlo, io non avrei mai ascoltato “dal vivo”.
Io non ero io, già da allora ero il “suo pancione” ma non lo avevo ancora capito e proprio perché ero il “suo pancione” e non un essere umano in procinto di nascere, venivo servito di ogni cura possibile: avrò incontrato, in nove mesi, almeno un dottore al giorno, ero al caldo se la temperatura scendeva di un minimo, prendevo aria se il clima era appena appena più torrido, carezze, paroline dolci, battutine, libricini colorati, giocattoli lisci, pelosi, di gomma... erano tutti per … no, non per me ma per “lui”, il “suo pancione”. Raramente in quei nove mesi mia madre beveva quella che era la sua bevanda “da colazione”, la birra, o ingeriva quelle sostanze che avrei imparato a conoscere, ahimè, molto bene e che mi divertivano per i loro colori e per gli effetti febbricitanti che davano a me, perché gli effetti che invece davano alla mamma non mi piacevano affatto...
E adesso? Proprio nel momento in cui venivo alla luce, che fine avevano fatto la serenità, la gioia, le risate, le parole calme? Boh! Non c'è che dire: una bella  e calorosa accoglienza. La quiete era finita, la tempesta iniziava a montare pericolosamente ed io, dal canto mio, cominciavo a capire molte cose, molte di più di quelle che capiscono le persone che non soffrono, iniziavo a diventare molto più grande ogni secondo e, allora, proprio per quell'unico e primo giorno di vita decisi di fare sciopero, di dare un bello schiaffo morale a chi non si accorgeva nemmeno della mia presenza: durante quel primo giorno di vita, IO non piansi.
“Barcollo”
-Mamma mi dai un zucco di frutta?
-Stai zitto cretino, non ho un soldo. Mettiti qui e dormi!
-Ma io ho fame... è da tante ore che camminiamo e non ce la faccio più!
-Se non ti stai zitto ti faccio nero!Piantala!
Non avrei ottenuto niente quella volta, soltanto qualche schiaffo e spintone in più. L'unico modo per mangiare, in quei casi, era andare al supermercato, prendere le cose e nasconderle sotto la maglietta o nello zainetto delle tartarughe ma, in quelle lunghissime ore in cui mia madre era particolarmente fuori di sé, non aveva neanche voglia di portarmi a rubare. L'unica cosa che potevo fare era addormentarmi su quella panchina fredda e sporca. Faceva così freddo che quando mi svegliai le lacrime mi erano rimaste attaccate sulle guance.
I giorni che passammo lontano da papà e dai nonni furono terribili: camminavamo senza meta tutto il giorno, mangiavamo quello che ero costretto a sgraffignare nei negozi e spesso dovevo stare solo quando la mamma si allontanava per diversi minuti con qualche signore... Nessuno poteva aiutarci, nemmeno le amiche sballate della mamma volevano farlo quella volta. Mi sentivo solo, così solo... per strada... avevo freddo, ero confuso, stordito... giocavo spesso a fare Lo Schizzo... desideravo moltissimo che tutto quello finisse, che la mia vita finisse se mi riservava solamente quei giorni interminabili e vuoti.
La mamma non mi guardava mai negli occhi, diceva solo parolacce e cose orribili su mio padre, sui miei nonni, su di me. Ero stanco: le mie spalle, ahimè, erano troppo piccole per reggere tutti quei problemi, avrei voluto essere grande per poter fare di testa mia, per poter scappare, per poter badare seriamente a me stesso senza avere bisogno di nessuno. Ma ero piccolo: avevo solo cinque anni.
La mamma era una furia, faceva tutte cose senza senso: percorreva una strada, poi tornava indietro e dopo, di nuovo, tornava a camminare lungo la stessa via, oppure entrava in un negozio ma ne usciva subito perché diceva che un tipo l'aveva urtata o che qualcun' altro l'aveva guardata di traverso... era tutto così insopportabile ed estenuante!
Dopo qualche giorno papà venne a prenderci e vidi la stessa scena di sempre: prima si presero a botte e a parole e poi si baciarono. Io, l'ostaggio, venivo sollevato di forza e portato via: nessuno mi chiedeva se avevo sofferto o quanta paura avessi covato dentro. Niente: io ero l'ostaggio, quel coso che si poteva barattare con i soldi e la pazienza dei nonni.
Così, tornammo a casa della nonna ma...niente era più come prima: nemmeno lì mi sentivo più sicuro. Tanto ero certo che, da un momento all'altro, ci sarebbe stata una nuova discussione e mia madre avrebbe minacciato di portarmi via se non le venisse dato quello che voleva ma, dato che nemmeno lei sapeva quello che voleva perché era solo la rabbia ubriaca che le viveva nell'animo a parlare per lei, ben presto mi avrebbe portato via un'altra volta ancora, mi avrebbe nuovamente scaraventato nella sua vita sozza e raminga.
Avevo continui attacchi di panico, crisi improvvise e furibonde di pianto perché mi tornavano alla mente le scene che avevo dovuto vedere insieme alla mamma, perché avevo il terrore di rimanere solo sotto le sue folli mani, perché non volevo rivivere il freddo, la fame, la vergogna di dover rubare per farla felice, per vedere sul suo volto un piccolissimo spiraglio di sereno. I nonni non sapevano come calmarmi: la camomilla non era più sufficiente, gli abbracci mi sembravano solo finte e inconsistenti consolazioni.
Non avevo più voglia di camminare, sarebbe stato meglio se io non avessi potuto farlo così nessuno mi avrebbe trascinato via. All'improvviso l'impossibilità di camminare e la voglia di non farlo, si fusero in me in una sensazione sola che mi faceva sbandare, barcollare, cadere per terra con botti sordi che si ripetevano tutte le volte che riprovavo a rialzarmi.
Mi portarono all'ospedale ma nemmeno lì seppero aiutarmi o, probabilmente, non vollero: erano “affari di famiglia”. Della mia. Quindi...


“Adesso so cosa accadrà”
Adesso, lo so cosa accadrà... Mia madre piangerà disperata davanti alla polizia e all'ambulanza prima, davanti a chi verrà a darle le condoglianze dopo; sembrerà affranta, disperata, sbalordita, dirà che non avrebbe mai potuto immaginare che proprio a lei sarebbe potuta accadere una cosa simile, proprio a lei...poverina! Lei che era così attenta e quel giorno non sa proprio come sia potuto succedere che io sfuggissi al suo controllo, io che ero sempre sotto le sue amorevoli mani...Piangerà, oh sì: piangerà per giorni per trovare quella compassione e quel conforto di cui ha sempre avuto bisogno ma non per essere confortata della mia perdita ma della sua vita, lei sarà la “protagonista”, lei sarà...la vittima. Tra qualche settimana però, smetterà di pensare a decorare la mia tomba e vorrà un altro bambino e lo avrà pure e io non lo invidio nemmeno un po'. La mamma avrà una buona dose di protagonismo e vittimismo e poi mi dimenticherà come si dimenticava di venirmi a riprendere all'asilo.
Mio padre, dal canto suo, si premurerà che tutto sembri “normale”, un incidente, andrà a prendere la polvere magica da dietro il water e assumerà l'aria del padre sofferente a cui è stata tolta la luce dei suoi occhi e non la persona in grado di far sborsare ai nonni qualche soldo in più. Papà addobberà la Chiesa e l'androne del palazzo con delle scritte di un insipido buonismo melenso solamente per far leggere agli altri un dolore che non conosce perché a lui, ormai, è estraneo ogni sentimento.
E i nonni... il nonno per un po' non parlerà, non verrà al funerale ma arriverà puntuale alla mia tomba ogni mattina e ogni sera col gelo e col caldo più appiccicoso; se ne starà lì a guardare la mia foto in cui io, come al solito, non sorrido ma guardo con aria imbronciata l'obiettivo. Non lo so se il nonno per mesi farà questo pellegrinaggio per scrupolo nei miei confronti o nei suoi e se piangerà non lo so se lo farà per la vergogna che sentirà pesare su di sé per l'accaduto o perché, invece, sentirà la mia mancanza.
La nonna all'inizio metterà su una sceneggiata napoletana, sembrerà vicina al crepacuore ma non creperà, perdonerà per l'ennesima volta suo figlio e quella sua schifosa vita balorda che le ha ucciso anche un nipote però questo non è importante, io non sono importante come suo figlio, la luce dei suoi occhi e lo scuserà, lo compatirà, tornerà ad aiutarlo in tutte le sue folli imprese, a giustificare la sua inettitudine e tutti i suoi sbagli, compresa sua moglie.
In Chiesa si è celebrato un funerale strano...non so...credo che quelli come me, i “probabili suicidi” non meritino una cerimonia come gli altri. Io non sono mai stato come gli altri eppure quel giorno, al funerale, la mia famiglia sembrava normale, con la mamma e il papà che si abbracciavano affranti, la nonna commossa e sconcertata: era come se nessuno di loro sentisse su di sé il minimo scrupolo, era come se nessuno di loro pensasse alla tristissima vita che avevo fatto, a tutti gli schiaffi di parole e di mani che mi avevano dato. Io ero... “il bambino strano”, malato, tutto il resto era normale, tutti erano vittime compatibili della mia follia. Già...
Al mio funerale ci saranno le maestre che piangeranno e loro piangeranno davvero per me e i miei compagnucci, con i fiorellini di carta fatti apposta da loro per me, se ne staranno lì confusi e frastornati e solo tra qualche anno, se ancora si ricorderanno di me, lasceranno cadere una lacrima facendosi tornare alla mente i confittini che portavo loro ogni giorno, il mio sorriso bucato, la mia camminata cicciona...
I parenti, i vicini, gli amici saranno quasi tutti seduti lì, a dirsi all'orecchio la verità, a difendere solo in un silenzio ipocrita la mia verità. Pochi saranno davvero commossi per me e siederanno in fondo, non daranno sfoggio della loro presenza e non avranno pena dei miei genitori, non li compatiranno ma li odieranno.
E nessuno indagherà, nessuno condannerà i miei perfetti genitori. Ma, d'altronde, non lo faccio nemmeno io che, a guardarli da qui, non posso certo dire di non volergli bene. 


sabato 8 agosto 2015

"E'..."

E’…

La vita è
il ritmo di una palla
che rimbalza nel vialetto,
la nenia
nell’abbaio
lontano
di un cane,
una rosa che volteggia
col venticello
nel sole ormai croccante.
La vita è il profumo avvolgente
del primo verde
e poi di quello bruciato
dai falò
e poi di quello umido, marrone
e poi di quello

ghiacciato.

giovedì 23 luglio 2015

Un'altra filastrocca!

“Favola, favola, favola...!”

Cari bambini:
sedete vicini
sotto le stelle,
le ciccione e le snelle,
così zitti zitti potrete ascoltare
la favola d'oggi da raccontare
ai vostri occhi incantati e sognanti
ai vostri cuori così trepidanti...
di poter viaggiare con la fantasia,
tra fate, orchi, gnomi e tanta magia,
per poi arrivare col fiato sospeso
al lieto finale da voi tanto atteso!


giovedì 16 luglio 2015

Una filastrocca per bambini...

“L'Estate”

Ogni estate voglio stare
tutto il tempo al sole, al mare:
sulla sabbia con la palla
dentro l'acqua sempre a galla;
pedalar nell'arancione
di un tramonto un po' sornione
e passare le mie sere
con il naso in su a vedere
il gran cielo illuminato

dal suo manto assai stellato!

lunedì 8 giugno 2015

Da "I Castelli"

(...)ma continuo a girarti intorno,

torre,

in questa sterminata distesa

di sole e sudore.

lunedì 25 maggio 2015

Da "Passione" (Nuove Poesie...)

Da "Passione"
(...)Adesso singhiozza, non si arrende:
straccia l’anima
ogni suo ultimo barlume
che rinasce da
quei bui mortali
sempre più vicini,
sempre più minacciosi.

lunedì 18 maggio 2015

Nuove Poesie...

Da"Pastelli colorati"
(...)le barche a vela
lo accarezzavano,
i costumi colorati
lo solleticavano
e lui si stendeva 
azzurro,
forte accanto al cielo,
sembrava una 
farfalla pronta
a spiccare il volo 
contro tutto
solo per cercarti.(...)

lunedì 4 maggio 2015

da... "Bella"

Da "Bella"

"Seduce lo sguardo d'impatto
il tuo fiero aspetto;
maestosa, posata
silenziosa, corteggiata...
terribilmente pericoloso ogni tuo movimento,
decisamente affascinante ogni tuo atteggiamento:
sai scaldare il cuore,
ma sai essere anche fredda, di ghiaccio...
e poi sai scioglierti fino alle lacrime."(...)

giovedì 23 aprile 2015

"La bolce storia di Bella" (Breve estratto)

(...)
Bene bambini, la storia di Bella, la dolcissima Bella, si svolge in un anno, un lunghissimo anno e inizia nel freddo mese di Gennaio…

Era una notte buia buia e buona e buona e le stelle se ne stavano al calduccio sotto la nera coperta di cielo a godersi la neve che cadeva dall’alto come una piena e gustosa spolverata di parmigiano profumato; ai piedi di un albero alto e forte, sprofondata in un letto ciccione di neve, una cagnolona bianca tutta inzuppata di freddo e fatica dava alla luce, o sarebbe meglio dire “dava alla notte” ma comunque alla vita, una piccola, tenera e pelosissima cucciolotta.(...)

giovedì 16 aprile 2015

Buona lettura...

Grazie per avere anche solo aperto il mio blog. Spero di potergli dedicare più cura e tempo che in passato...