Articoli sul genere comico


Il mimo

È molto complessa la preistoria del mimo romano. Il termine greco indica l' imitazione della vita reale e tale etichetta è da attribuire sia a forme di letteratura sofisticata, sia a generi quali il music-hall, l'avanspettacolo con numeri slegati, privi di testi veri e propri ma carichi di improvvisazione, danza, musica e arte mimica. Pertanto l'imitazione di scene della vita quotidiana significava o fare la parodia di generi letterari più importanti o adottare un crudo realismo.
All'inizio la rappresentazione di mimi si svolgeva verso la fine di aprile, ai ludi florales; poi diventò una forma di spettacolo molto richiesta anche grazie al crescente gusto veristico. Gli attori recitavano senza le calzature rialzate e senza maschera.
Del mimo di età cesariana molto noti sono gli autori Publilio Siro e Decimo Laberio. La fortuna del mimo in età repubblicana e nella prima età imperiale si basa sull'utilizzo di canovacci schematici, canzoni, scenette con equivoci piccanti o litigi clamorosi e finale a sorpresa.
In età imperiale il mimo si distaccò dalla commedia evolvendo verso forme di recitazione muta e di balletto: fu il clamoroso successo del pantomimo.




Aldo Palazzeschi il saltimbanco

Chi sono?

Chi sono?
Son forse un poeta?
No certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell'anima mia:
follìa.
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non à che un colore
la tavolozza dell'anima mia:
malinconìa.
Un musico allora?
Nemmeno.
Non c'è che una nota
nella tastiera dell'anima mia:
nostalgìa.
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente
dinanzi al mio core,
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell'anima mia.

Questo componimento tratto da Cavalli bianchi, opera di Aldo Palazzeschi, esprime pienamente la sua “poetica del divertimento”: i versi ci propongono qui un riuscitissimo auto-ritratto del poeta.
Il non-sense fonologico caratterizza poi i versi di E lasciatemi divertire: il significato qui è nel gioco di sonorità; infatti nell' Incendiario il poeta si fa gioco della sua stessa identità.

Del resto, Vi confesso, sono un ragazzo così buffo da convincermi talora di essermi fatto da me”1. 

Con queste parole Palazzeschi si rivolge a Marinetti in una lettera in cui risponde con entusiasmo alla sua proposta di adesione al futurismo.



Voi venite dunque?
-Di lassù.
-Dove lassù?
-Lassù dove io rimasi sempre prima di scendere alla luce.2

Queste le parole del protagonista del romanzo di Palazzeschi Il codice di Perelà e il “lassù” di cui parla appunto Perelà è il “nessun luogo” in cui Starobinski ha riconosciuto il luogo di appartenenza del clown che, in quanto tale, viene da un altro universo; Strarobinski dice infatti:
Il clown è dunque colui che viene da un altro luogo, il signore di un passaggio misterioso, il contrabbandiere che supera le frontiere proibite:e allora riusciamo a capire perché al circo e sul palcoscenico si sia da sempre attribuita tanta importanza alla sua entrata.”
Perelà entra infatti in scena in modo clownesco, annunciando l'inizio di uno spettacolo, comunicando la sua irrealtà testuale e sociale. Il nostro uomo di fumo è sì un clown ma postromantico che ha perso la sua origine e vive il suo vagare come modo per trovare un punto di vista ironico. Perelà ammetterà spesso la sua “nichilistica leggerezza”: come non cogliere il doppio senso? E dopo una calorosa accoglienza gli uomini “normali” gli riserveranno una spietata condanna e così si capirà che questo mondo non fa per lui e la “favola aerea” di Perelà rimarrà leggera, aperta, sospesa...




Maldiluna in... concerto?!?”
In questo spettacolo, dalla durata che può variare dai 45 minuti ad un'ora circa a seconda delle richieste o esigenze, il simpaticissimo clown-giocoliere Maldiluna “dovrebbe” eseguire un “concerto” ma prima di riuscirci gliene capiteranno di tutti i colori! Impacciato dalla sua pigrizia, inciampando nei suoi pasticci, catapulterà gli spettatori in una serie continua di numeri di giocoleria e di clowneria per poi arrivare alla gustosissima gag finale!





Il circo di Maldiluna”

Come ogni circo che si rispetti anche quello dell'esilarante Maldiluna ha tanti volti, mille sfumature, attrazioni di vario tipo. Infatti i primi momenti delle performances interpretate dal nostro clown-giocoliere sono molto divertenti: la sua sola entrata in scena scalda il pubblico e lo coinvolge con grinta. Ecco poi un susseguirsi suggestivo di numeri di giocoleria, gag comiche che prevedono la partecipazione degli spettatori e a far da contorno al tutto una vera e propria “colonna sonora” per dare il giusto ritmo ad ogni momento! Ma, come dicevamo, molti sono i volti del “circo di Maldiluna” e così il suo protagonista assoluto ad un certo punto sveste i panni del simpaticone per indossare quelli dello sputafuoco, del mangiafuoco: la musica carica l'atmosfera per il cambio di ruolo... In ogni caso Maldiluna riesce a rendere spassosi anche momenti suggestivi come questi che prevedono la presenza del fuoco e così lo spettacolo rimane gustoso per tutti, per i grandi e per i bambini, per i più e i meno impressionabili: ognuno con il naso all'in sù a guardare le sue performances senza dimenticarsi di ridere!




Le follie di Maldiluna”
Lo spettacolo del fenomenale clown-giocoliere Maldiluna inizia in un modo decisamente particolare e accattivante soprattutto per i bambini... Il suo protagonista infatti è un clown moderno e originale che riuscirà ad ammaliare gli spettatori esibendosi in divertenti e seducenti numeri in cui sarà ora comico, ora giocoliere, coinvolgerà il pubblico persino facendolo partecipare ad un numero musicale e la gag di chiusura sarà davvero insolita! Insomma prima un tripudio di colori e poi, nella seconda parte, un elemento solo sarà protagonista: il fuoco. Eh già, perché il nostro trasformista realizzerà suggestivi numeri con il fuoco: anche queste performances saranno svolte da Maldiluna in modo professionalissimo e in perfetta forma riuscirà a camminare sul filo dell'allegria, divertendo e incantando allo stesso tempo.




Chi è il giullare?”
Il giullare è il cantastorie, il giocoliere del Tardo Medioevo e, per analogia, vennero chiamati “giullari di Dio” i Poeti Laudes (in questo modo infatti venne definito anche Iacopone Da Todi).
Con valore negativo si definisce giullare il buffone, che lo sia di mestiere oppure no, la persona senza dignità, il saltimbanco.
La figura del giullare è da ricollegare a quella del mimo, dell'istrione latino; il termine appare nei testi del IX secolo per intendere mimus, histrio ed in seguito la parola giullare sostituì addirittura questi termini e così dire “giullare” voleva dire parlare di giocoliere, acrobata, saltimbanco, buffone.
L'età d'oro del giullare riguarda il periodo tra il X e il XIII secolo: i giullari si diffondono in Italia, Francia, penisola iberica, nelle zone anglo-normanne, germaniche e in quelle latine d'Oriente e vivono ai margini della vita sociale, condannati dalla Chiesa, rappresentando la corruzione, l'anormalità. Sono sempre presenti specie durante le ricorrenze essendo esperti di danza, canto e recitazione tant'è che i trovatori gli fanno eseguire le loro opere letterarie e poi saranno i giullari stessi a comporne abbandonando in questo modo la loro condizione di inferiorità all'interno della società. D'altronde presso protettori e corti avevano cambiato la loro qualifica diventando menestrelli e certo non pochi trovatori hanno origine giullaresca.



Mistero buffo
Manuale minimo dell'attore”
Nel 1997 Dario Fo ottiene il Premio Nobel per la Letteratura “per avere emulato i giullari del Medio Evo, flagellando l'autorità e sostenendo la dignità degli oppressi”.
Da sempre critico nei confronti della morale borghese e attento alle realtà marginali, Dario Fo ha di certo moltissimi meriti e notevole è il suo impegno politico e civile. D'altronde la Lombardia, la regione in cui è nato, era una regione-crocevia fatta di eretici, di mercanti, di poeti provenzali e di giullari, di cultura alta e di tradizione popolare. E Dario Fo ha ridato oralità alla letteratura. L'obiettivo di “Mistero Buffo”, il suo capolavoro, è dare voce al mondo “basso” che la letteratura ha sempre voluto cancellare: ecco dunque che ci descrive in modo parodico la resurrezione di Lazzaro così come il primo miracolo di Gesù Bambino, oppure reinterpreta in chiave popolare “Rosa fresca aulentissima” di Cielo D'Alcamo, a volte lavorando sui testi originali, in altri casi rielaborando documenti medievali per raccontare la storia vista dalla parte dei deboli, burlandosi della storia “ufficiale”.
Il “Manuale minimo dell'attore” nasce da uno stage del 1984 tenuto al Teatro Argentina e vari gli argomenti trattati ma a caratterizzarli c'è sempre il suo approccio particolarissimo, il suo linguaggio: la commedia dell'arte, l'analisi del testo drammaturgico e, soprattutto, i suoi consigli sulla recitazione.



Giullare:

in provenzale “joglars”, in spagnolo “juglares”, dal latino “ioculares”, in glosse del V secolo con l'accezione di “buffone”; in francese “jongleurs”, dal latino “ioculatores”, termine già presente in Cicerone. Durante il medioevo il giullare era colui che, girovagando di corte in corte, di paese in paese, faceva divertire le persone per mestiere esercitando l'arte della comicità, della parola, ballando, recitando,suonando o impegnandosi in esercizi di giocoleria. In questo modo si portavano avanti tradizioni antiche, quale ad esempio quella dei mimi d'Alessandria e di Roma, contaminate da elementi arabi, germanici. Proprio a causa di tali contaminazioni e per la sua ascendenza pagana, il giullare era guardato con diffidenza dalla Chiesa che aveva particolarmente in astio la pratica teatrale di cui si mettevano in rilievo le componenti “demoniache”. Ma se la Chiesa contestava la figura del giullare, il pubblico, al contrario, li adorava e anche i signori che arrivavano ad ingaggiarli. Considerati tali motivi, ecco dunque che la condizione del giullare risentiva di una certa inferiorità sociale e morale. Nel XII secolo Guglielmo D'Aquitania gareggiò con i giullari e in questo modo diede loro dignità letteraria, modificando la vecchia accezione di “giullare”: ora il termine frequentemente si confondeva con quello di trovatore. Per questo nel 1274 Guiraut Riquier fece una petizione ad Alfonso X di Castiglia affinché la terminologia ufficiale ponesse le dovute differenze fra i due termini. In realtà la differenza fra i due ruoli si rivelò nel concreto perché i trovatori erano artisti raffinati e i giullari per lo più esecutori e divulgatori.




I testi dei giullari”

La parodia adottata nel XIII secolo a livello letterario diverte e dissacra, è a metà fra l'evasione e la ribellione e nella maggior parte dei casi rivede, in modo comico, testi sacri come, ad esempio, avviene con la parodia della Passione eseguita da Ruggieri Apugliese, senese, giullare e per secoli si avranno rivisitazioni in chiave goliardica di testi sacri. Al genere dei giullari appartiene anche l'anonimo Detto del gatto lupesco che sembra essere una serie di avventure raccontate dal giullare-giramondo. Vanno poi ricordate opere come i Proverbi di Garzo, forse proprio quel Ser Garzo dell'antico laudario di Cortona e il Bestiario moralizzato di Gubbio che ricava una lezione etica declinando in sonetti le figure degli animali.





1Marinetti, F. T. - Palazzeschi A. (1978), p. 4 : lettera del maggio 1909
2Palazzeschi A., Il Codice di Perelà, (1911) p.21.



Il filone comico

L'esperienza comica della lirica toscana è di certo dotta e rappresenta una tendenza poetica che trova corso fra il Duecento e il primo Trecento; è di tipo burlesco, realistico e borghese o, per dirla più esattamente, è poesia “comica”, dando però a tale aggettivo l'accezione che gli diede la retorica medievale e Dante nel De vulgari eloquentia: materia realistica, umile e tono basso di stile e di lingua. Il filone comico ritrova le sue radici nella poesia goliardica latina che cantava le donne, la taverna, il dado, si concedeva parodie liturgiche, improperi anticlericali e misogini, ma se ne possono ritrovare le origini anche nella poesia dei giullari, nei sirventesi di polemica politica propri dei provenzali e negli enueg (elenchi di cose fastidiose). Molto spesso si sottolinea la vicinanza di questa poesia alla vita quotidiana e si parla di Siena come del suo centro propulsore in polemica con lo stilnovismo di Firenze. Senesi sono infatti Cecco Angiolieri, Meo De' Tolomei, il Musa, Folgòre, il Granafione, Bindo Bonichi. Certo è che il fenomeno è largamente toscano e appartiene a fiorentini come Rustico Filippi e Pieraccio Tedaldi, a poeti aretini come Cenne Della Chitarra, appartiene a lucchesi come Pietro De' Faitinelli, ma pure ai perugini Nuccoli e Ceccoli o al trevigiano Niccolò De' Rossi. Il registro comico-realistico, appartenne però anche a poeti “seri”, come Cavalcanti e Guinizzelli, Cino o Dante Alighieri. Quindi se ne può dedurre che non ci sia una vera e propria opposizione fra lo stile alto e quello comico-realistico quanto, piuttosto, un'alternanza consapevole di due registri, dei quali l'uno è il rovescio dell'altro.






Cecco Angiolieri

La poesia di Cecco Angiolieri si rifa alla poesia latina dei goliardi perché da essa ricava caratteri stilistici, temi e situazioni. È un genere poetico, il suo, che si ricollega alla precedente tradizione della letteratura comica, ai canti dei goliardi e prelude ai successivi sviluppi dei generi parodici, giocosi, “carnevaleschi”. Una poesia dunque anticonformistica e alternativa che rifiuta la visione del mondo gerarchica e ufficiale e dà voce alla diversità e all'emarginazione. Dai componimenti di Cecco Angiolieri si delinea il quadro della sua vita irregolare e inquieta trascorsa nelle taverne, a giocare a dadi, con le donne. L'amore che egli canta, infatti, è quello sensuale per una fanciulla plebea, il rovescio cioè delle eteree donne cantate dagli stilnovisti; canta l'odio per il padre, impreca contro la sorte: tutto risponde ad un intento di esagerazione parodistica in polemica con lo stilnovismo.



Rustico Filippi

Rientra nel genere della poesia comico-parodica anche la personalità di Rustico Filippi; caratteristica la sua vena satirica nel ritrarre scene e persone dell'ambiente borghese fiorentino con un tono grottescamente caricaturale, con linguaggio corposo ed espressivo intessuto di termini rari e di formule idiomatiche. Il suo canzoniere, che per metà vede comparire anche componimenti “alti”, è segnato dalla presenza di poesie comiche in cui l'autore, da abile stilizzatore di caricature, ritrae un'adultera e un marito sciocco, un soldato spaccone, lo scherzo di natura e quant'altro in modo incisivo e spassoso.


                                       

     Il Quattrocento e il genere comico


Vive nella prima metà del Quattrocento Domenico Di Giovanni, detto il Burchiello, che compone sonetti alla rinfusa, senza consecuzione logica allinea parole slegate e ottiene così un notevolissimo successo: in lui l'eco della tradizione scandalistico-giocosa di scuola alla Angiolieri. E legato alla tradizione giullaresca è Antonio Cammelli: nei suoi Sonetti faceti motivi comici come la divertita descrizione del proprio tugurio o l'autocaricatura. Ma, soprattutto, Luigi Pulci è il grande protagonista di quest'epoca perché si ispirò ai cantastorie di piazza e mise in burla le parlate plebee affascinato da forme semplici e fresche; con il suo poema cavalleresco di materia francese, il Morgante, in ottave, si burla della materia eroica e se gli va riconosciuto il difetto d'unità, all'opera non mancano certo i colpi di scena e le novità. I personaggi sono pertanto sconvolti, i canoni rovesciati, rotti gli schemi logici, rovesciate le gerarchie consacrate: il mondo dell'idealità cavalleresca è smascherato e l'epica è trasformata in burla; a farla da padrona è la comicità popolare, comicità a volte grottesca, unita ad una sfrenata fantasia.