venerdì 31 marzo 2023

📷

📷Se tu vuoi cancellami pure, io ti tengo fotografato nei miei pensieri.

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giovedì 30 marzo 2023

💊

💊Prima il virus che colpiva i polmoni, adesso quello che attacca i neuroni...

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mercoledì 29 marzo 2023

☁️

☁️Ok penso troppo... Ok aiutami a pensare di meno................................

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martedì 28 marzo 2023

😉

Posso dire una cosa ai Presuntuosi?!? No vabbè, avete capito, avete capito... 😉

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lunedì 27 marzo 2023

✍️

✍️Ti prego insisti:dimmi che non desisti e che non... resisti.

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domenica 26 marzo 2023

Racconto breve

 

BARBARA PRESICCE




Quando gli angeli


volano


all' in giù


(Fiaba moderna)






Quando sono nato

Quando sono nato nessuno mi guardava: mia madre piangeva disperata, afferrava con le unghie le lenzuola, si contorceva maledicendo mio padre per quello che le aveva fatto, cioè... “io” ; mio padre andava su e giù per la stanzetta triste di quell'ospedale sporco e un po' guardava per terra, un po' il soffitto giusto quando imprecava; la nonna parlava, parlava, soffocando con il suo fastidioso dialetto le lacrime della mamma, le bestemmie di papà e non capiva che con tutte le sue chiacchiere non avrebbe sistemato un bel niente, avrebbe semplicemente procurato l'ennesima emicrania alle infermiere che se ne stavano sbalordite nel corridoio ad assistere a quello che avrebbe dovuto essere il mio primo dolce, tenero e commovente abbraccio alla mamma( già... “tenero”! Già... “commovente”... beh, in effetti di lacrime ce n'erano... ma non di gioia); mio nonno se ne stava zitto zitto con gli occhi fermi sulla spalliera di ferro del letto, i suoi occhi neri erano rossi quel giorno, il giorno in cui sono nato, terrorizzati non so da cosa o, meglio, allora non lo sapevo ma adesso posso dire con certezza che fosse spaventato a morte da me, dalla mia nascita, dai miei primi vagiti però, anche in questo momento, continuo a chiedermi come mai il suo terrore fosse esploso tutto proprio quel giorno e perché non lo avesse vomitato durante i nove mesi della mia permanenza nella pancia della mamma.

Ah, la pancia della mamma! Ora la ricordo con un fortissimo e dolorosissimo senso di nostalgia... là dentro era tutto sicuro, mi sentivo protetto e devo ammettere che, una volta uscito di lì, nessun posto mi avrebbe dato mai tutta quella pace per ben nove mesi di seguito! Eppure io le vedevo le cose da là dentro, lo capivo quello che succedeva: ascoltavo sempre tanta gente riunita, a tavola magari, che si sorrideva felice, che rideva di gusto, solamente qualche rimprovero per i miei frattellini ma mai voce alta o cattiva, mai discussioni, litigate... In nove mesi era come se tutte quelle bocche felici, serene, covassero il disprezzo, l'inquietudine e la guerra che sarebbe esplosa, come un botto di Capodanno, proprio al momento della mia nascita. Fortunato non lo sono stato, questo è sicuro, ma ho imparato tante cose subito e in poco tempo. Ho imparato, per esempio, che spesso gli adulti ridono quando vogliono piangere ma se piangono raramente avevano intenzione di ridere e ho imparato pure che, fino a quando non si scontrano con gli “ostacoli”, i “pericoli”, gli adulti camminano, parlano, fanno finta di niente eppure lo sanno che l'ostacolo di lì a poco ci sarà, nel mio caso dovrei dire “nascerà”, ma si ostinano in ogni modo a rimandare il problema, a ritardare la discussione tra un sorriso di carta e una parola di gomma. Lì, da dentro la pancia della mamma, la vedevo la gente sorridere, era tutta un' esplosione di risatine, di carezze: mio padre si occupava di mia madre, del suo pancione, con una premura che non avrei mai più conosciuto, tutti le si rivolgevano con delicatezza e lei non poteva che ricambiare quelle affettuosità con un tono languido, carezzevole che, manco a dirlo, io non avrei mai ascoltato “dal vivo”.

Io non ero io, già da allora ero il “suo pancione” ma non lo avevo ancora capito e proprio perché ero il “suo pancione” e non un essere umano in procinto di nascere, venivo servito di ogni cura possibile: avrò incontrato, in nove mesi, almeno un dottore al giorno, ero al caldo se la temperatura scendeva di un minimo, prendevo aria se il clima era appena appena più torrido, carezze, paroline dolci, battutine, libricini colorati, giocattoli lisci, pelosi, di gomma... erano tutti per … no, non per me ma per “lui”, il “suo pancione”. Raramente in quei nove mesi mia madre beveva quella che era la sua bevanda “da colazione”, la birra, o ingeriva quelle sostanze che avrei imparato a conoscere, ahimè, molto bene e che mi divertivano per i loro colori e per gli effetti febbricitanti che davano a me, perché gli effetti che invece davano alla mamma non mi piacevano affatto...

E adesso? Proprio nel momento in cui venivo alla luce, che fine avevano fatto la serenità, la gioia, le risate, le parole calme? Boh! Non c'è che dire: una bella e calorosa accoglienza. La quiete era finita, la tempesta iniziava a montare pericolosamente ed io, dal canto mio, cominciavo a capire molte cose, molte di più di quelle che capiscono le persone che non soffrono, iniziavo a diventare molto più grande ogni secondo e, allora, proprio per quell'unico e primo giorno di vita decisi di fare sciopero, di dare un bello schiaffo morale a chi non si accorgeva nemmeno della mia presenza: durante quel primo giorno di vita, IO non piansi.


Barcollo

-Mamma mi dai un zucco di frutta?

-Stai zitto cretino, non ho un soldo. Mettiti qui e dormi!

-Ma io ho fame... è da tante ore che camminiamo e non ce la faccio più!

-Se non ti stai zitto ti faccio nero! Piantala!

Non avrei ottenuto niente quella volta, soltanto qualche schiaffo e spintone in più. L'unico modo per mangiare, in quei casi, era andare al supermercato, prendere le cose e nasconderle sotto la maglietta o nello zainetto delle tartarughe ma, in quelle lunghissime ore in cui mia madre era particolarmente fuori di sé, non aveva neanche voglia di portarmi a rubare. L'unica cosa che potevo fare era addormentarmi su quella panchina fredda e sporca. Faceva così freddo che quando mi svegliai le lacrime mi erano rimaste attaccate sulle guance.

I giorni che passammo lontano da papà e dai nonni furono terribili: camminavamo senza meta tutto il giorno, mangiavamo quello che ero costretto a sgraffignare nei negozi e spesso dovevo stare solo quando la mamma si allontanava per diversi minuti con qualche signore... Nessuno poteva aiutarci, nemmeno le amiche sballate della mamma volevano farlo quella volta. Mi sentivo solo, così solo... per strada... avevo freddo, ero confuso, stordito... giocavo spesso a fare Lo Schizzo... desideravo moltissimo che tutto quello finisse, che la mia vita finisse se mi riservava solamente quei giorni interminabili e vuoti.

La mamma non mi guardava mai negli occhi, diceva solo parolacce e cose orribili su mio padre, sui miei nonni, su di me. Ero stanco: le mie spalle, ahimè, erano troppo piccole per reggere tutti quei problemi, avrei voluto essere grande per poter fare di testa mia, per poter scappare, per poter badare seriamente a me stesso senza avere bisogno di nessuno. Ma ero piccolo: avevo solo cinque anni.

La mamma era una furia, faceva tutte cose senza senso: percorreva una strada, poi tornava indietro e dopo, di nuovo, tornava a camminare lungo la stessa via, oppure entrava in un negozio ma ne usciva subito perché diceva che un tipo l'aveva urtata o che qualcun' altro l'aveva guardata di traverso... era tutto così insopportabile ed estenuante!

Dopo qualche giorno papà venne a prenderci e vidi la stessa scena di sempre: prima si presero a botte e a parole e poi si baciarono. Io, l'ostaggio, venivo sollevato di forza e portato via: nessuno mi chiedeva se avevo sofferto o quanta paura avessi covato dentro. Niente: io ero l'ostaggio, quel coso che si poteva barattare con i soldi e la pazienza dei nonni.

Così, tornammo a casa della nonna ma...niente era più come prima: nemmeno lì mi sentivo più sicuro. Tanto ero certo che, da un momento all'altro, ci sarebbe stata una nuova discussione e mia madre avrebbe minacciato di portarmi via se non le venisse dato quello che voleva ma, dato che nemmeno lei sapeva quello che voleva perché era solo la rabbia ubriaca che le viveva nell'animo a parlare per lei, ben presto mi avrebbe portato via un'altra volta ancora, mi avrebbe nuovamente scaraventato nella sua vita sozza e raminga.

Avevo continui attacchi di panico, crisi improvvise e furibonde di pianto perché mi tornavano alla mente le scene che avevo dovuto vedere insieme alla mamma, perché avevo il terrore di rimanere solo sotto le sue folli mani, perché non volevo rivivere il freddo, la fame, la vergogna di dover rubare per farla felice, per vedere sul suo volto un piccolissimo spiraglio di sereno. I nonni non sapevano come calmarmi: la camomilla non era più sufficiente, gli abbracci mi sembravano solo finte e inconsistenti consolazioni.

Non avevo più voglia di camminare, sarebbe stato meglio se io non avessi potuto farlo così nessuno mi avrebbe trascinato via. All'improvviso l'impossibilità di camminare e la voglia di non farlo, si fusero in me in una sensazione sola che mi faceva sbandare, barcollare, cadere per terra con botti sordi che si ripetevano tutte le volte che riprovavo a rialzarmi.

Mi portarono all'ospedale ma nemmeno lì seppero aiutarmi o, probabilmente, non vollero: erano “affari di famiglia”. Della mia. Quindi...



Adesso so cosa accadrà

Adesso, lo so cosa accadrà... Mia madre piangerà disperata davanti alla polizia e all'ambulanza prima, davanti a chi verrà a darle le condoglianze dopo; sembrerà affranta, disperata, sbalordita, dirà che non avrebbe mai potuto immaginare che proprio a lei sarebbe potuta accadere una cosa simile, proprio a lei...poverina! Lei che era così attenta e quel giorno non sa proprio come sia potuto succedere che io sfuggissi al suo controllo, io che ero sempre sotto le sue amorevoli mani...Piangerà, oh sì: piangerà per giorni per trovare quella compassione e quel conforto di cui ha sempre avuto bisogno ma non per essere confortata della mia perdita ma della sua vita, lei sarà la “protagonista”, lei sarà...la vittima. Tra qualche settimana però, smetterà di pensare a decorare la mia tomba e vorrà un altro bambino e lo avrà pure e io non lo invidio nemmeno un po'. La mamma avrà una buona dose di protagonismo e vittimismo e poi mi dimenticherà come si dimenticava di venirmi a riprendere all'asilo.

Mio padre, dal canto suo, si premurerà che tutto sembri “normale”, un incidente, andrà a prendere la polvere magica da dietro il water e assumerà l'aria del padre sofferente a cui è stata tolta la luce dei suoi occhi e non la persona in grado di far sborsare ai nonni qualche soldo in più. Papà addobberà la Chiesa e l'androne del palazzo con delle scritte di un insipido buonismo melenso solamente per far leggere agli altri un dolore che non conosce perché a lui, ormai, è estraneo ogni sentimento.

E i nonni... il nonno per un po' non parlerà, non verrà al funerale ma arriverà puntuale alla mia tomba ogni mattina e ogni sera col gelo e col caldo più appiccicoso; se ne starà lì a guardare la mia foto in cui io, come al solito, non sorrido ma guardo con aria imbronciata l'obiettivo. Non lo so se il nonno per mesi farà questo pellegrinaggio per scrupolo nei miei confronti o nei suoi e se piangerà non lo so se lo farà per la vergogna che sentirà pesare su di sé per l'accaduto o perché, invece, sentirà la mia mancanza.

La nonna all'inizio metterà su una sceneggiata napoletana, sembrerà vicina al crepacuore ma non creperà, perdonerà per l'ennesima volta suo figlio e quella sua schifosa vita balorda che le ha ucciso anche un nipote però questo non è importante, io non sono importante come suo figlio, la luce dei suoi occhi e lo scuserà, lo compatirà, tornerà ad aiutarlo in tutte le sue folli imprese, a giustificare la sua inettitudine e tutti i suoi sbagli, compresa sua moglie.

In Chiesa si è celebrato un funerale strano...non so...credo che quelli come me, i “probabili suicidi” non meritino una cerimonia come gli altri. Io non sono mai stato come gli altri eppure quel giorno, al funerale, la mia famiglia sembrava normale, con la mamma e il papà che si abbracciavano affranti, la nonna commossa e sconcertata: era come se nessuno di loro sentisse su di sé il minimo scrupolo, era come se nessuno di loro pensasse alla tristissima vita che avevo fatto, a tutti gli schiaffi di parole e di mani che mi avevano dato. Io ero... “il bambino strano”, malato, tutto il resto era normale, tutti erano vittime compatibili della mia follia. Già...

Al mio funerale ci saranno le maestre che piangeranno e loro piangeranno davvero per me e i miei compagnucci, con i fiorellini di carta fatti apposta da loro per me, se ne staranno lì confusi e frastornati e solo tra qualche anno, se ancora si ricorderanno di me, lasceranno cadere una lacrima facendosi tornare alla mente i confittini che portavo loro ogni giorno, il mio sorriso bucato, la mia camminata cicciona...

I parenti, i vicini, gli amici saranno quasi tutti seduti lì, a dirsi all'orecchio la verità, a difendere solo in un silenzio ipocrita la mia verità. Pochi saranno davvero commossi per me e siederanno in fondo, non daranno sfoggio della loro presenza e non avranno pena dei miei genitori, non li compatiranno ma li odieranno.

E nessuno indagherà, nessuno condannerà i miei perfetti genitori. Ma, d'altronde, non lo faccio nemmeno io che, a guardarli da qui, non posso certo dire di non volergli bene.



























sabato 25 marzo 2023

🚙

🚙E stamattina un tipo di spalle carica la spesa e niente... mi sembri tu:la macchina blu, la tua felpa rosso f e... lo sai... penso a quello che fai te, a come lo fai te... Ancora sì.

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venerdì 24 marzo 2023

🔥

Ci sono dei fuochi che si accendono in un lampo e si spengono in un fulmine e altri che montano lenti ma diventano sempre più... robusti🔥

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giovedì 23 marzo 2023

✒️

 ✒️(S)CARPE  DIEM...

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mercoledì 22 marzo 2023

👁️

👁️Sì scemo, baciarti gli occhi per me vuol dire ancora assaggiarti l'anima...

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martedì 21 marzo 2023

⌚Tic tac tic tac... Non c'è tempo: ditele le cose e capitelo quello che volete... Tic tac tic tac...

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lunedì 20 marzo 2023

📜

📜Sei l'ossimoro più dannatamente forte mai incontrato.

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domenica 19 marzo 2023

 Imbuti


Quel giorno bastava la plastica al tatto,

una sacca dei giochi del mare,

cercare sotto la sabbia l’acqua

e non il tuo cappello.

Cercavo e riconoscevo l’amore, il cuscino.

Pezzi di odori, briciole di ieri

piluccato nel contorno.

Vedo volti per la prima volta

e rincorro l’idea che tanto,

comunque,

spariranno anche loro nella mia sabbia.

sabato 18 marzo 2023

🚗

🚗Rimbalza nella memoria all'improvviso l'odore della macchina del nonno, odore di pelle, sole, nafta e pane caldo... E rimbalza, rimbalza...

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venerdì 17 marzo 2023

"Aiutami a sparire come cenere..."🎶

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giovedì 16 marzo 2023

🖤

 🖤E da quel giorno non riuscii più a pronunciare le parole "morte", "infarto", "cuore" ...

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mercoledì 15 marzo 2023

🎶

🎶La canzone di oggi? "Così speciale" di Antonio Diodato, intensa poesia: quando uno sa scrivere... 🎶

#cosispeciale #antoniodiodato #musica #canzoni #canzone #song #songs #poesia 

martedì 14 marzo 2023

👁️‍🗨️

👁️‍🗨️Anche in mezzo ai miei mezzi respiri ci sei tu.

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lunedì 13 marzo 2023

👽

Chi fa strategie nei rapporti umani semplicemente... non è umano.

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domenica 12 marzo 2023

"A. I. D. S." racconto breve

 








Ancora


Ignoro


Dove


Sei




(Racconto breve)






3 Settembre, 2002



Oggi Billy mi ha detto di aver parlato con Jesse.

Io gli ho chiesto come si fa a parlare con un morto.


























AIDS o Sindrome da immunodeficienza acquisita, sindrome secondaria all'infezione dal retrovirus HIV; è caratterizzata dalla progressiva compromissione delle difese immunitarie e dall'insorgenza di gravi patologie, come cancro (frequente è il sarcoma di Kaposi) o encefaliti, oppure dalla comparsa di infezioni opportuniste che si sviluppano nei pazienti debilitati dalla malattia. L'individuo infettato dal virus diventa portatore asintomatico ed è detto sieropositivo perché nel suo sangue è possibile riscontrare la presenza di anticorpi anti-HIV; può sviluppare in seguito la sindrome vera e propria (AIDS conclamata). Quando questa compare, provoca un rapido deperimento fisico; l'esito dell' AIDS conclamata è infausto. Il termine AIDS è l'acronimo di Acquired ImmunoDeficiency Sindrome, sindrome da immunodeficienza acquisita.


(Microsoft Encarta Enciclopedia Plus)

















Quando andavo a scuola, circolava una terribile storia. Ogni ragazzina la copiava sul suo diario.

Parlava di una donna che passava una notte d'amore con un uomo appena conosciuto e al suo risveglio si ritrovava nel letto solo una rosa blu e un bigliettino con su scritto:

"Benvenuta nel mondo dell' A.i.d.s.".

Allora mi limitavo a pensare che quella storia fosse orribile e pensavo a quella malattia come ad uno di quei mostri terrificanti che la notte sconvolgono i sogni. Quei mostri però, la mattina, sai che non esistono.

L' a.i.d.s. sì. Di notte e di mattina. Sempre.

E adesso io lo stavo a guardare.




















La trasmissione del virus HIV avviene attraverso il contatto con il sangue di un soggetto infetto e per via sessuale. Per tale motivo, l'AIDS viene annoverata nel gruppo delle malattie a trasmissione sessuale(MST). L'infezione si diffonde più rapidamente fra individui che hanno spesso rapporti sessuali non protetti con partner diversi e tra i tossicodipendenti. Il virus può anche essere trasmesso dalla madre sieropositiva al feto, attraverso la circolazione sanguigna placentare, o al bambino dopo la nascita, attraverso l'allattamento al seno. Nel caso del contagio per via sessuale, l'HIV presente nello sperma e nelle secrezioni vaginali si immette nella circolazione sanguigna del partner non infetto attraverso piccole abrasioni delle mucose(genitali o orali), già presenti o formatesi durante i rapporti sessuali. Il contagio si verifica allo stesso modo negli individui omosessuali ed eterosessuali.

La trasmissione del virus tra tossicodipendenti riguarda coloro che fanno uso di droghe iniettabili, come l'eroina, e che impiegano siringhe già usate; in tal caso, anche piccole quantità di sangue depositatesi sull'ago o aspirate al momento dell'estrazione della siringa, possono essere sufficienti a infettare il successivo utilizzatore di questa.

Particolari vie di contagio sono quelle che si stabiliscono tra pazienti portatori di HIV e operatori sanitari, e viceversa, e nel corso di trasfusioni sanguigne. La probabilità di contrarre l'infezione per questa vie in realtà è piuttosto bassa, per le misure di prevenzione e le condizioni di sterilità adottate in ambito sanitario e grazie ai test di routine per l'individuazione dell'HIV effettuati nelle emoteche. La donazione del sangue non comporta per il donatore alcun rischio.



(Microsoft Encarta Enciclopedia Plus)





Ciao Luna.

Scommetto che ti sei già preoccupata perché è da un giorno che non ci vediamo. Da troppo. Da quella sera con la pioggia. Non so cosa dirti o da dove cominciare. Lo sai che, in generale, preferisco che tu li annusi i miei pensieri.

Potrei cominciare a dirti che a volte bisogna crederci nel destino perché il mio mi ha portato da te. Ma adesso devo andare. Ci sono troppe cose che tu non sai di me, magari sono quelle meno importanti, certo sono quelle che, a questo punto, mi costringono ad uscire dalla tua vita prima che possa farti ancora male. Ancora più male di quello che ti ho fatto e che mi hai urlato in mezzo a quella strada. Davanti a quella macchina che ti voleva portare via da me, per sempre, ho capito che questa vita ti merita. Merita te. Non certo me. Solo con quei maledetti fari negli occhi, ho capito che per chi t'incontra sei un raggio di vita, un colpo di risa.

In America facevo l'attore, avevi ragione. L'avevi capito da subito chi ero: ecco perché io sorvolavo sempre. Non ho tempo per parlarti di quel mondo, della vita che facevo, del fatto che mi ritenessi un dio fino a che la morte mi è venuta a cercare. Era bella, sai? Mai quanto te, ma era bella: chi l'avrebbe mai detto che sarebbe stata la mia condanna definitiva? Una storia con lei l'ho pagata al prezzo di una vita. La mia.

Quando fai l'attore, quando frequenti certi ambienti, quando sei come me, ti fai tante compagnie e molte sono sbagliate e, a volte, capita addirittura di farsi quella letale di “compagna”.

Una mattina mi sveglio nel mio lusso, affascinato come sempre dal mio fascino e arriva una telefonata: “...lei è morta di AIDS, quindi...presto morirai anche tu”. Non ci pensi prima, quando la guardi, o lei o un'altra, l'importante è che sia sensuale, l'importante è che sia tua per qualche minuto, non ti metti sulla difensiva con lei, non ci pensi che può ucciderti: le guardie del corpo le lasci andar via. Dopo un po' però sì, ci pensi che non hai pensato. Ci pensi alla fottuta vita che hai fatto...ti sta quasi bene quello che ti accadrà. Sei un incosciente: prima te lo diceva bonariamente l'impresario, adesso te lo sbatte in faccia lo specchio del bagno. Perché proprio a me? Che cosa mi accadrà? Quale mostruoso essere si impadronirà del mio corpo, del mio viso?

Si chiama AIDS. Quel nome è mio. È il mio. Ero impotente. Questa volta con tutti i miei soldi potevo concluderci ben poco, gli amici importanti non potevano aiutarmi. Un po' di compassione da parte di tutti era quello che mi rimaneva. Con quella presto sarei morto perché era la mia eredità.

Se spacchi tutto, se gridi e corri come un pazzo fino a che non hai più fiato, non cambi niente: lei è là, davanti a te, ti logora corpo e anima. È come se ogni giorno dovessi ingoiare un macigno. Te ne vai in giro con quel peso, il dolore ti sventra, è un dolore inerme...è un dolore che non puoi vivere fino in fondo perché niente ti appartiene più. Nemmeno il dolore. Non sei più padrone di te stesso, forse non lo sei mai stato però adesso ne hai la certezza. Quando vorrà, quando sarà comodo, lui ti verrà a cercare e si prenderà pure quel poco di te che ci sarà rimasto. Poco.

Lo so che chiederti scusa non basta, non ha senso. Io non volevo innamorarmi, non volevo più provare niente, ma poi ci siamo incrociati al bivio...non ti baciavo perché avevo paura di farti del male, non ti toccavo per non toccare me stesso e ho cercato di soffocare il mio amore per te, l'ho minacciato e poi implorato di andarsene ma, dopo, in un attimo, tu eri lì, in mezzo a quella strada e io ti amavo e allora dovevo salvarti: prima dalla macchina, ora da me.

Vado dove non puoi trovarmi, non ho intenzione neanche solo di provare a curarmi e lo so che non puoi capire o, forse, solo tu sei in grado di comprendermi.

Anche lontano, in questo mondo, in ogni mondo, in miliardi di mondi, ti porterò con me e ti amerò.

Vorrei tanto che l'angelo che verrà a prendermi assomigli a te, ma tu mi hai già preso.

Quando ti sentirai triste, ricordati che a volte “Basta guardare il cielo” e spingersi nella vita con un respiro in più. Io respirerò con te.

Se non mi cercherai sarò lì con te.

Jesse



Non vi è prova che l'HIV possa essere trasmesso attraverso l'aria, le punture di insetti, il sudore, la saliva, oppure tramite il contatto con persone infette, purché non vi sia scambio di sangue o di secrezioni genitali: dunque, il virus non si diffonde con una stretta di mano, o impiegando gli stessi attrezzi da lavoro di un sieropositivo, o indossandone un abito. Ciò è dovuto al fatto che l'HIV non sopravvive a lungo quando viene esposto all'ambiente. Invece, la condivisione di oggetti come rasoi, spazzolini da denti, bende, non è immune dal rischio di contagio.

Dopo circa 4-6 mesi dall'infezione, la risposta immunitaria dell'organismo contro l'agente patogeno determina il raggiungimento di un equilibrio(set point) tra i virus di nuova formazione e quelli che vengono distrutti. I sintomi scompaiono e l'individuo infetto, detto sieropositivo, entra in una “fase asintomatica”, che in media si protrae per 6-7 anni.

La fase asintomatica rappresenta lo stadio della malattia più pericoloso da un punto di vista epidemiologico, perché per un tempo piuttosto lungo permette il mantenimento di condizioni di salute generalmente buone e, quindi, non induce nel sieropositivo la consapevolezza della sua condizione e l'attuazione di comportamenti volti a evitare il contagio di altri individui (ad esempio, l'uso del preservativo durante il rapporto sessuale). Per questo motivo, è consigliabile che tutti gli individui che hanno comportamenti “a rischio”, ad esempio frequenti rapporti con partner diversi, o che abbiano comunque il sospetto di avere avuto uno scambio di sangue con un sieropositivo, si sottopongano a test diagnostici , come il test ELISA (vedi oltre), per accertare se vi è stata trasmissione del virus.

Il decesso per AIDS non è dovuto direttamente all'infezione da HIV ma alle malattie opportuniste. Le patologie attualmente considerate come correlate all'AIDS sono circa 25.


Microsoft Encarta Enciclopedia Plus.



Non riuscivo a crederci. Jesse stava per tornare. Scendeva tra non molto all'aeroporto, in quell'aeroporto che io avevo sommerso di sue tracce che poi erano rimaste sospese nel nulla, che erano rimaste attaccate sui fondi dei cassonetti più vecchi.

Mi sembrava uno scherzo crudele.

Mi sembrava assurdo che Jesse avesse prima voluto contattare Billy per farmi avvertire da lui del suo ritorno. Billy ci capiva meno di me in quella storia.

Cosa voleva adesso? Me? Perché?

E soprattutto: come stava? Chi era diventato? Quale se stesso si era portato dietro questa volta? Dov'era stato?

Ero pietrificata davanti a lui che mi guardava e mi riconosceva, davanti a quei dieci anni passati nel tormento: tutte quelle ore le avevo ingoiate amaramente, tutti quei minuti li avevo solo ansimati, tutti quei secondo li avevo contati.

Era lui, il mio Jesse, riflesso nei miei occhi, sembrava il solito Jesse, quello che mi aveva stretta sotto la pioggia.

Oggi l'ho stretto, Jesse, con una rabbia violenta, incazzata, come si abbraccia qualcuno che credevi di non poter toccare mai più. Era stato proprio così. Non ci riuscivo a respirare, la testa pullulava nevroticamente mille pensieri, le mani piangevano, pure loro.

Trenta o quaranta minuti di loquace silenzio fra noi.

-Ciao Luna.

-Ciao Jesse.

Ancora minuti interminabili di silenzio, poi ricominciavo a sentire sotto la pelle il tempo che mi sfuggiva:

-Come stai? Dimmelo! Come stai?

-Sto bene, non sono malato. Non lo sono mai stato.

-Che...che? Che?!!

-Non ti ho mentito, credevo davvero di avere l'AIDS ma non avevo fatto il test, non sapevo con chi parlarne...quando ho saputo che quella ragazza che era stata con me era malata di AIDS io sono impazzito...ero stordito e confuso: pensavo solo che la mia bella vita era stata sconvolta...è stato un errore...

-Un... “errore”?!?

La mia testa era pesantissima, carica di centinaia di macigni: ogni macigno per ognuno dei pensieri che mi sconvolgevano e nauseavano. Annaspavo fra le parole di Jesse, non riuscivo a credere a quello che mi stava dicendo.

-E poi quando te ne sei andato da qui...hai fatto il test?

-Sì, oh Luna! Io volevo...durante il viaggio, mentre tornavo in America, io pensavo a te...quando mi hanno detto che non ero malato, sono stato travolto da un altro shock: ero frastornato, ero felice, volevo chiamarti....ma non ne ho avuto il coraggio, non sapevo cosa dirti, mi sentivo in colpa e mi sentivo uno stupido...non avrebbe avuto senso tornare indietro...devi capirmi...

-“Capirti”?!? Io devo capire te? Ma tu hai la più vaga idea di quello che mi stai vomitando addosso? Dieci anni Jesse, dieci anni, e tu non hai avuto il tempo o le palle per fare una telefonata, per chiedermi scusa, per dirmi che stavi bene?!? A te di me non te n'è mai fregato niente, mi hai scritto tutte quelle cacchiate solo per prendermi in giro...mi hai sventrata e poi te ne sei rimasto a guardare!

-No, non è vero! Questo non puoi dirlo! Io ti ho amata, sempre, ti amo con tutto quello che significa: per questo sono tornato. Cerco di non pensarti, ma ci sei continuamente tu nella mia vita, in qualunque posto io vada ci sono il tuo odore, la tua voce...ho amato sempre e solo te...per questo sono andato via e per questo non sono tornato indietro: per non farti male!

-“Per non farmi male”...?! Ma sentiti! Tu mi hai tradita in un modo talmente squallido da meritare il primato nella “storia dei tradimenti”! Non mi hai detto la verità in tutto questo interminabile tempo e hai il coraggio di dire che non volevi farmi male? Sei scappato perché sei un vigliacco e dici che non volevi farmi male? E adesso che fai...? Torni da me, dici che mi ami e che sei guarito come se ti fossi curato da una semplice influenza?! Ma come ti permetti...come? Ti ho cercato per mesi con il rimorso di non averti aiutato in tempo o capito come avrei dovuto, mi sono portata questa colpa dentro, senza riuscirne a parlare mai fino in fondo perché ci sarebbe voluta tutta l'acqua del mondo per estinguerlo 'sto fuoco di rabbia impotente...ho iniziato a sentire che le vesciche sotto i piedi fossero parte di me perché camminavo con la luce e la notte per provare a cercarti, perché volevo finire di vivere insieme a te, vicino a te, senza darti fastidio...te li avrei regalati tutti volentieri i miei giorni per vederti anche un solo minuto felice, vivo. Ho vissuto di ricordi, ho cercato di soffocarli quando non ne potevo più d'incontrarli rigidi e impalpabili davanti a me, dovunque, e non ci sono riuscita...ti ho pensato ogni minuto senza interruzione e mi sentivo una merda perché non sapevo dov'eri e come soffrivi...mi sentivo un'egoista perché tu avevi deciso per me che non potevo curarti...Sono rimasta appesa, sospesa su quella tua lettera, su tutti i libri che ho studiato per poterne capire di più su quella che credevo fosse la terribile malattia da cui scappavi...ho persino cercato di entrare nel tuo “mondo”, ho voluto conoscere gente malata di AIDS credendo, così, di essere più vicina a te. Ho ferito tante persone perché non riuscivo a spiegargli che non mi sentivo alla loro altezza perché tu non mi avevi ritenuto all'altezza del tuo dolore; ho lasciato persone e situazioni nel vuoto delle mie assenze perché avevo paura che anche loro, come te, mi lasciassero e, allora, li lasciavo io per prima; ho ingoiato sangue e ne ho pensate talmente tante su questa crudele situazione che i quaderni non ce la fanno più a leggerle tutte...Sono arrivata alla conclusione che ti avrei sempre tenuto accarezzato dentro di me, in qualunque posto tu fossi, in questo mondo, in ogni mondo, in milioni di mondi...non potevo fare altro. Ma sono andata avanti nei giorni sentendo sulla coscienza un peso, perché mi sembrava di tradirti se vivevo e non sopravvivevo semplicemente, se tornavo ad essere felice, ogni tanto...ho sbagliato tutto! Ho violentato dieci anni della mia vita e tu mi chiedi di capire?!? Che cosa, eh?!? Che cosa dovrei capire?!?

-Ti ricordi quando abbiamo visto Cast Away? Tu hai pianto non mentre era naufrago, triste e solo su quell'isola, ma quando è tornato a casa, fra la sua gente, perché proprio lì lui si è sentito veramente solo. Io non potevo tornare da te. E se tu non mi avessi più voluto? Preferivo dei dubbi a certezze terribili. Il tuo amore mi aiutava ad andare avanti nella vita e, alla fine...eccomi qua: ho capito che non posso vivere lontano da te.

Mi calmavo, mentre parlava, dopo essermi liberata di tutto quello che avevo dentro. Da troppo.

-Jesse io ho sbagliato, sto sbagliando: io non devo, non voglio rinfacciarti quello che ho provato per te. Perdonami...mi sento così stordita. Colpita. Sono felicissima che tu stia bene non fraintendermi, avrei dato la mia vita per vederti stare così bene, è solo che...è come se mi avessero tolto un pezzo di vita, ma la colpa è solo mia in fondo. Io sono...io non so dirti come sto ora...ho bisogno di capire se sono arrabbiata con te o solo con me. Non ci capisco più molto. Sarai sempre dentro di me, questo è certo...ma adesso ho bisogno di tornare a casa.

Jesse mi fissava ammutolito: li leggeva i miei pensieri dietro le parole che gli dicevo? Li aveva mai letti e annusati davvero i miei pensieri o ero stata solo e semplicemente io a volerlo credere?

A volte le parole non servono. Tante volte, durante le mie giornate, non trovo quelle giuste da dire al momento giusto.

Milo mi scrutava perplesso. Incerto era il suo sguardo a se stesso, rassicurante la sua espressione per me, dietro quella vetrina, con le mani in tasca, davanti al viso l'alone del freddo che si era poggiato sul vetro spesso.

-Ti prego Milo, torniamo a casa nostra. Ti prego.











Attraverso il prelievo di un campione di sangue è possibile accertare la condizione di sieropositività in tempi relativamente rapidi rispetto al momento dell'infezione virale.


Il più rapido test per verificare se un individuo è venuto a contatto con il virus HIV e il suo organismo ha sviluppato contro questo una risposta specifica, è il cosiddetto test anti-HIV, o test ELISA(Enzyme-Linked Immunosorbant Assay). Con il semplice prelievo ed esame di un campione di sangue, è possibile attraverso questa prova verificare se nel corpo del soggetto esaminato si sono sviluppati anticorpi anti-HIV: se ciò viene riscontrato, il test risulta positivo, e l'individuo viene definito sieropositivo. In realtà, la precisione del test ELISA non è del 100%; pertanto, per convalidare una diagnosi di sieropositività viene effettuata una seconda indagine, detta test Western blot, basata sullo stesso principio del test ELISA ma più precisa. Il risultato del test Western blot risulta decisivo per la diagnosi. Poiché comunque il test ELISA è meno costoso, esso viene eseguito di routine come primo screening.

Il test ELISA e il Western blot non possono essere eseguiti immediatamente dopo che l'individuo è venuto a contatto con il virus; infatti, occorre solitamente un periodo di circa tre mesi affinché il sistema immunitario produca una risposta anticorporale contro il virus. Prima di tale periodo, dunque, il soggetto risulta comunque negativo ai test sierologici. In questa fase, per la determinazione della presenza dell'HIV possono essere utilizzati altri metodi, che rilevano direttamente la presenza di alcune componenti del virus. Se il paziente risulta negativo ai test dopo sei mesi dal momento del possibile contatto con l'HIV, esso può con sicurezza ritenersi non contagiato.


Poiché è stato accertato che vi sono due ceppi di HIV responsabili dell'AIDS, denominati HIV-1 e HIV-2, per rilevare ciascuno dei due si sono resi necessari test sierologici differenti. Questi due ceppi, infatti, pur essendo strettamente imparentati e pur causando la stessa malattia, mostrano differenze in alcune componenti proteiche che, a livello diagnostico, ne permettono la distinzione.

L'impiego di trattamenti farmacologici contro le infezioni associate all'AIDS si è tradotto in un reale beneficio clinico, prolungando la vita di numerosi pazienti.



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sabato 11 marzo 2023

🍸

Allegria e malinconia: ottimo cocktail. 🍸

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venerdì 10 marzo 2023

🌞

🌞Il sole negli occhi, la pizza in bocca e Mengoni nelle orecchie: ecco un momento perfetto.

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giovedì 9 marzo 2023

🎩

🎩Le tragedie degli altri ci sembrano sempre poco tragiche.

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mercoledì 8 marzo 2023

🖖

🖖Assioma. Il maleducato dice all'educato che è maleducato. Un po' come la storia del bue che dice...

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martedì 7 marzo 2023

🚎

🚎Ma com'è che quando hai fretta tutto davanti a te si muove lentissimamente e se invece hai il giorno tranquillo la follia del mondo ti investe? È una congiura?!?

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lunedì 6 marzo 2023

🕊️

🕊️E poi che cos'è per te la libertà?

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domenica 5 marzo 2023

Poesia...

 

Sogno n.1


Tum tum, tum tum...


cresce il battito,


le tempie calde:


isterie di un litigio


ma poi la rabbia si pettina


e pensa “chissenefrega”;


così prendo il telefono


per parlarti


e realizzo che non posso


e l'impotenza mi ghiaccia


e poi mi sveglio.















sabato 4 marzo 2023

😵

😵E puntualmente cerchi una cosa ma ne trovi un'altra...

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venerdì 3 marzo 2023

🛌

🛌Ma se mi nascondo sotto le coperte, smetto un po' di esistere?

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😧

 😯È possibile avere ricordi del futuro?

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giovedì 2 marzo 2023

🚶

Fare finta di niente e andare avanti come se non fosse successo niente... di' tu ci riesci?

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mercoledì 1 marzo 2023

☸️

Ed ecco che il Capitano diventa il mozzo.

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