lunedì 10 aprile 2023

Capitolo Quinto (La Vedova)

 

CAPITOLO QUINTO (DOPO)

FREDDO, TROPPO FREDDO

Eccolo. L'angelo rosso. Eccomi, davanti alla porta di casa nostra, ormai casa mia e basta da quando mia suocera, tua madre, mi ha portato pure dal Giudice per avere cinquemila euro come regalo per la tua morte, lei che nemmeno al matrimonio ci ha regalato nulla e che quando ha saputo che le spese del funerale le avrei interamente sostenute io ha detto, in obitorio, davanti a te disteso:

  • Allora prenditelo e seppelliscilo dove ti pare...

Ecco. C'è giustizia per questo? Come hanno fatto quelle e tante altre parole e cose a non uccidermi? Forse perché sono forte, come mi dicono in tanti e io parafraso “insensibile”? Perché hai permesso che mi succedesse questo? Perché mi hai lasciato qui a farmi sbranare un po' da tutti io che pensavo a tanto, a troppo, ma a questo non avevo mai pensato: immaginavo che nonostante Tutto e Tutti saremo stati sempre io e te. Invece... Sono qui. Sola. Per sempre, ormai è deciso: nessuno mi sopporta più e io non sopporto più nessuno o viceversa. Non lo so. Fatto sta che sono passati cinque anni come gli anelli che porto ancora alle mani per ogni anno del nostro matrimonio... perché lo faccio? Era tutto idilliaco? No, ma era. Dimensione. Io e te. Casa. E adesso solo io... che figata eh Ci? Perché poi ti chiamo “Ci”? Ah, sì... ti ricordi? Mi ricordo: sta per Ci ccio, Ci cciotto io che adoro le cose, i cagnolini, i bambini cicciotti, la tua pancetta; il nostro modo speciale di chiamarci, di chiamarti e ora? Che me ne farò anche di queste due lettere ridicole, anche di questo ricordo ustionante tutte le volte che mi verrà in mente o che lo ascolterò per sbaglio nella mia mente, sulla mia bocca o da quella degli altri...?

Sono venuta qualche settimana fa qui in paese perché da troppo tempo la carta d'identità era scaduta ma non l'avevo rinnovata proprio perché non volevo tornare qui. Ma poi ho dovuto. Ho attraversato questi vicoli piangendo e da tempo mi ero ripromessa di non farlo più: un po' di dignità e che cavolo! Non lo avevo mai fatto; alle elementari una volta avevo pianto davanti a tutti perché umiliata dalla maestra zitella che mi odiava; davanti ai miei genitori, a mia madre che mi accusava chissà di cosa, forse di essere nata perché bastava mio fratello. E davanti a te, forse davanti ad un'amica quando quello stronzo del mio ex mi aveva combinato la sua ennesima cattiveria... e basta. Odiavo farmi vedere piangere, farmi vedere debole, tanto poi non gliene frega niente a nessuno e ti sanno solo guardare con quel sorrisino falso di commiserazione e pensano:

Meglio a lei che a me...”

Che crudele che sono, eh? Vedi, me li merito gli schiaffi della vita... Eppure, quando sei morto, ho pianto e tremato, tremato e pianto, inguardabile, davanti a tutti: al tizio delle Pompe Funebri, per strada, sull'autobus, davanti a quelli della banca, all'ufficio cimiteri, al supermercato, per strada... mi chiedevano qualcosa o anche no e io cominciavo... che scema.

Arrivando vedevo tutto uguale: le strade, le case, i negozi e mi chiedevo come fosse possibile... Com'è possibile che se io cinque anni fa mi sono rotta, spezzata, qui è rimasto tutto uguale, niente è imploso o esploso come me? Camminavo tremante e sola e in lacrime per quelle stradine conosciute a memoria che avevamo scelto, amato, che ci avevano visto passeggiare sorridenti, incazzati, annoiati, con il sole, la pioggia, la neve, con l'inverno, l'estate... chissà se le strade sanno, se mi riconoscono, se si beffano di me o gli faccio pena o non gli trasmetto un emerito cavolo sia perché ultimamente riesco facilmente a farmi dimenticare sia perché, più semplicemente, sono strade e basta e devo smetterla con queste cazzate da Lo Schiaccianoci per cui, quando usciamo dalla stanza, i giocattoli, gli oggetti si animano: non ce l'hanno più le persone l'anima, figuriamoci le cose... o forse sì?

Basta. Non pensare. Concentrati. Cerca di sembrare più normale possibile. Potresti incontrare qualcuno che conosci. Tanto ormai lo sanno tutti che sei strana, sfigata e che non sei affatto normale ma, almeno, provaci... sono passati cinque anni...”, pensavo camminando i passi con rabbia per scacciare quel freddo appiccicoso da dentro.

Temevo che mi vedessero: mi avrebbero riconosciuta i vicini? Che cosa avrei dovuto dire? Sarebbe stato meglio non incontrare nessuno e invece...

-Buongiorno, si ricorda di me?

-Oh mio Dio... certo...

-Mi scusi, io...

-Ma di che ti devi scusare... Sai io quel giorno l'avevo visto, la mattina stessa, era qui sotto fumava come sempre, ci siamo salutati...

Eh Signora, anche io lo avevo visto quel giorno, ci avevo parlato, pranzato... come sempre e, invece, l'avverbio “sempre” stava già cominciando a cancellarsi.

Inizio a piangere. Di nuovo. Davanti a qualcuno. Non lo sopporto. È da un po' che non succedeva. Non so che dire. Voglio scappare e isolarmi nel mio dolore. Ascolto altre frasi di circostanza:

-Per fortuna che hai questo... per fortuna che hai quest'altro...

E poi, puntuale, comincia lo scambio delle sciagure: a te è accaduto questo, a me quest'altro; è una specie di Natale degli orrori, non ci si scambia regali ma disgrazie. Annuisco. Come sempre. Che diavolo dovrebbero dirmi? Boh.

  • Se hai bisogno di qualcosa...

  • Grazie, magari passerò...

Ma poi non si passa mai e anche se si ha bisogno non si chiede e se si chiede difficilmente si ha, comunque non si ha mai quello che si vorrebbe quando lo si vorrebbe: ma questo è un altro capitolo.

E quindi sono qui, davanti a questa porta, cinque anni dopo con questo accidenti di angelo rosso che brilla: che ti brilli Lucifero presago?

Apro la porta, ogni passo un botto allo stomaco, un muro da abbattere. Casa nostra, incredibile, sembra uguale: come se l'avessi lasciata ieri. Meglio così. Problemi in meno da risolvere, da sola, problemi che comunque ci sono sempre... giro per le stanze vuote, vuota, fa freddo, cose da sistemare, cose da aggiustare, ti cerco quasi dovessi sbucare fuori da una camera da un momento all'altro ma non è così e non ce la faccio e mi siedo perché la cosa più rotta di tutte non si può sistemare: tu non aprirai quella porta con il tuo sorriso buono o con la tua faccia scura. Non l'aprirai più e basta e io devo rassegnarmici e smetterla di pensare che sia uno scherzo e devo piantarla di riconoscerti per strada. Devo pulire, ricostruire, sistemare, fare per non pensare e riuscire magari persino a vendere finalmente questa casa ma, questa “cosa”, “te”... non ti posso ricostruire. Nella testa, nel cuore: sempre. Ma la realtà, la dura realtà ce l'ho davanti, dietro e tutt'intorno. Silenzio. Nemmeno il rumore odioso delle litigate o quello fastidioso di quando provavi un pezzo nuovo alla chitarra. E finalmente, scrivendo queste cose, sto piangendo: era da mesi che non mi succedeva, pensavo di avere finito l'anima o le lacrime, invece...

Ma piango egoisticamente per me perché so che non sarò più felice o vagamente tale con qualcuno o perché non rivedrò più te? Entrambe. Entrambe le cose e fa freddo e tu non puoi abbracciarmi e mi abbraccio da sola come canta Achille Lauro in Che sarà?